Alle 6.30 suona la maledetta sveglia. Boom, in piedi duro e tosto come Atlas, il robot di google quando Kevin l’impiegato cattivo lo butta per terra con il bastone alle spalle

Yeah, what the fuck Kevin! E proprio come Atlas sulla neve barcollo verso la colazione, dove Wally già mi aspetta col cappellino rosso in testa. Wally, hai dormito? No. Ok, almeno non sono il solo. Colazione? Bevo del succo, mi trascino verso il bancone dell’hotel, faccio check-out, striscio verso l’auto dove NoIssue e Giancarlosh ci aspettano sorridenti e riposati. Giancarlosh non l’ho ancora capito, fresco come una rosa, con i capelli leccati di lato e i baffi all’insù, gud monin sir you eppì? Yesh Giancarlosh, muoviamoci, portami a velocità di crociera e poi centrifugami tutto, voglio svenire sul sedile dell’auto almeno per un paio d’ore. E così è, appena raggiungiamo la velocità di 80 km/h svengo sul sedile e dormo per 2 ore abbondanti, sempre in uno stato di mezza veglia, mi sveglio giusto quando Giancarlosh decide di attraversare l’autostrada per fermarci ad un Midway, l’omologo dei nostri autogrlill, dove fare pipì e pregare qualche divinità induista.

Pisciati e pregati, ci rimettiamo in strada. Per riprendere l’autostrada ci tocca fare cento metri contromano, attraversare 3 corsie conromano e immetterci schivando il traffico dei camion. No probelm sirs, everything’s fine. Fine stocazzo. NoIssue prima ci offre dello yogurt grumoso che ha comprato stamattina prima di venirci a prendere, contenuto in bicchieri di terracotta a portar via, poi decide di fare a cambio con Giancarlosh perché non è soddisfatto dello stile di guida. Raggiungiamo i 130 km/h e procediamo in modalità need for speed most wanted fino a Fatehpur Sikri. Smontiamo dall’auto, saliamo su un pullman Mazda di epoca paleocristiana che ci porta direttamente all sito di Jami Mashid, il quartiere sacro. Ci togliamo le scarpe, a me e Wally danno dei lenzuolini marroni per coprire le gambe, dato che indossiamo pantaloncini, e ci facciamo scortare da una guida turistica giovanissima e poliglotta. La guida ripete i gesti e le parole che gli sono stati insegnati negli anni addietro, e li replica esattamente passaggio per passaggio, anche a costo di dover ripetere innumerevoli volte lo stesso concetto, le stesse parole, lo stesso gesto. Il quartiere è racchiuso da alte mura e vi si accede attraverso due cancelli, uno per la famiglia reale e uno per il popolo. Quello per il popolo è qualcosa come il più alto ingresso che volge a mezzogiorno dotato di portoni e colorato di rosso nel mondo. Insomma, è alto 54 m, quindi fa la sua porca figura.

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All’interno del piazzale la guida ci ripete a macchinetta la storiella e ci porta in giro attraverso porticati e tombe di uomini saggi e devoti. Poi viene il momento di visitare la tomba di Sheikh Salim Chisti, l’unico edificio di marmo bianco qui dentro, il resto è di arenaria. La tomba di Sheikh Salim Chisti è un luogo di culto sia per gli induisti sia per i musulmani. Prima di entrare si chiede gentilmente ad un omino di procurarti un foulard di seta (?), un sacchetto di fiori, un laccetto rosso di cotone. Si prende tutta questa roba, si annusa e si porta alla fronte, si annusa e si porta alla fronte, quindi si entra nella tomba di Sheikh Salim Chisti. Qui viene fornito un copricapo di ordinanza nel caso in cui non se ne abbia uno. Si entra in questa stanza quadrata al cui centro si trova la vera tomba di Sheikh Salim Chisti, un baldacchino in legno di sandalo. Tutto attorno la gente passa, depone il tessuto sulla tomba, tocca/bacia/annusa/struscia il tessuto appena deposto, sparge petali sul tessuto e poi si ferma ad annodare il laccetto rosso alla parete di marmo intarsiata. Quando si annoda il laccio si esprimono 3 desideri, che devono rimanere segreti. 1 desiderio per sé, 1 desiderio per la propria famiglia, 1 desiderio per chiunque altro. La guida mi dice, in un Italiano niente male, che Sarkozy e la Bruni sono venuti in visita qui quando ancora non avevano figli, hanno espresso un desiderio, e la Bruni è rimasta incinta. Cazzo, pericolosissima sta tomba!

Dopo la tomba, visitiamo la Moschea. Qui sono in fissa con la simmetria, quindi la guida ci ripete mille volte la manfrina sulla simmetria. Poi ci fa vedere che ci sono una serie di archi, che se li guardi in fila sembra vadano rimpicciolendosi ma invece no, sono tutti della stessa grandezza, miracolo. No guida, è come funziona l’occhio umano e la visione prospettica, non è un miracolo. Io e Wally siamo costretti a scattare uno strano selfie con il cellulare a terra, le nostre teste che si toccano e dietro la cupola. La guida cerca di convincerci a comprare dei meravigliosi elefanti in marmo fatti dalla sua famiglia, ci sono 3 elefanti annidati uno dentro l’altro, scolpiti dallo stesso blocco. Semplicemente? La mia religione mi impedisce di comprare manufatti di qualsivoglia foggia come souvenir. Si fa una certa, salutiamo la guida lasciando abbondante mancia, torniamo al pullman, torniamo all’auto, torno a dormire.

Mi risveglio solo quando arriviamo ad Agra perché devo far salire la corpulenta guida dietro di me. Da lì in 10 minuti siamo al parcheggio dove si lascia l’auto e si comprano i biglietti per il Taj Mahal che è tra le nuove 7 meraviglie del mondo. Gli stranieri pagano un  biglietto di 750 INR mentre gli Indiani pagano 20 INR, più sovrapprezzo per copriscarpe (l’alternativa è semplicemente toglierle), sovrapprezzo per acqua e impossibilità di saltare le code per l’ingresso al Taj. NoIssue paga ridotto, ma consapevole che con il beneplacito della guida e grazie alla nostra presenza potrà saltare la fila. Preso tutto, ci lanciamo all’arrembaggio di un trenino elettrico, sgomitando e scalciando per prendere i posti, e in qualche caso lanciando persone giù da posti che avevano già occupato. Percorriamo 500 m, siamo all’ingresso dell’anticamera del Taj Mahal. La guida inizia a scassarci la uallera sul come e sul perché dell’estrema simmetria del tutto, ci fa mettere al centro, ci fa fare le foto a quello che dice lui e dove dice lui, poi lui fa le foto a noi, poi ci ridice per la centesima volta che i colori che vediamo non sono dipinti ma gemme incastonate nel marmo (ma è una cosa così fuori dal comune?), poi ci racconta ancora che Agra è nata per ospitare i maniscalchi che lavorano il marmo e i cui discendenti ancora sono qui a lavorare il marmo a mano perché la corte suprema indiana non vuole che si usino macchinari nei dintorni del Taj Mahal. E va bene, e questa è solo l’anticamera.

Per tutto il tempo penso che tutta questa simmetria sia molto utile allo scopo di risparmiare pixel.

Poi entriamo dalla porta principale, e anche qui ci fa osservare il gioco prospettico per cui solo se stai perfettamente in centro riesci a vedere il Taj nella sua interezza, con o senza torri. Una cosa estenuante. Quando finalmente sbuchiamo dall’altra parte e vediamo quello spettacolo che dovrebbe essere il Taj nel suo contesto (ok, bello, sì, ma così tanto bello? boh), inizia a farci spostare nelle varie pose per fare o farci fare le foto, incluse le foto in cui sembra che stai tenendo la tettona del Taj per la punta del capezzolo. Perché è quello che è, vero? Una soda tetta candida e compatta, col capezzolone turgido e dotato di piercing. No?

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Niente, facciamo il giro del giardino, poi ci infiliamo dentro saltando la coda. Dentro le foto sono vietate. Ovviamente tutti si mettono a fare foto, e le guardie e la nostra guida urlano contro, sequestrano cellulari nei casi più gravi prendono di peso e sbattono fuori. Dentro c’è l’unico pezzo non simmetrico dell’intero complesso, cioè la tomba del re che sta di fianco a quella della regina al centro. La guida prova estremo fastidio nel dirci ciò. Il Taj è un mausoleo, persiano per giunta. Questo è il motivo per cui alla sinistra del Taj c’è una moschea, e a destra una casa per gli ospiti uguale alla moschea per rispettare la simmetria. Giusto? Ok. Dentro è sostanzialmente buio pesto, la guida usa una piccola torcia per mostrarci come le gemme si “accendono” quando colpite dalla luce nella notte, e di come il marmo sia traslucido per via dei cristalli. Yeah, duh. All’uscita tenta a tutti i costi di portarci a vedere una fabbrica del marmo dove lavora assuocuggino e ci sono marmi bellissimi da comprare: ciupa!

La cosa più interessante che ho sentito è che l’edificio è stato pensato con criteri antisismici, quindi ci sono tipo 84 pozzi d’acqua nelle fondazioni per smorzare le vibrazioni e disaccoppiare l’edificio dal resto che si muove, in più le torri ai lati pendono leggermente verso l’esterno così in caso di terremoto violento dovrebbero cadere all’esterno senza intaccare l’edificio principale. Ecco, questo mi è piaciuto.

Niente, stessa scena di assalto al trenino elettrico, torniamo al parcheggio e dopo aver mollato la guida, dopo che Wally ha comprato delle cartoline, dopo che NoIssue e Giancarlosh si sono fermati a comprare dei dolci, ripartiamo alla volta di Gurgaon. Giancarlosh ha l’idea del secolo: sull’autostrada nuova e asfaltata da poco ci sarà di sicuro traffico a quest’ora, facciamo la vecchia strada che passa in mezzo a tutti i paesi ed è piena di buche e precipizi e deviazioni e autobus che raccolgono gente che si lancia su e giù e ovviamente vacche e gente che spazza per terra e tuk tuk nel mezzo della strada e famiglie di 5 componenti in moto e dossi rallentatori alti come case e camion parcheggiati in mezzo alle corsie e polvere ovunque che oscura i finestrini e chiaramente vacche vacche vacche e capre come se non ci fosse un domani che riposano in mezzo a quella che dovrebbe essere una strada. Fottesega, io dormo, almeno con un occhio. Ogni 32 secondi microrisvegli causa frenata improvvisa. Un risveglio serio quando passiamo un incrocio regolato ad urla e clacson, poi mi riaddormento fino a quando non mi accorgo che mi sta per esplodere la vescica e che devo evacuare tutto anche se non mangio dallo yogurt della mattina. Per fortuna arriviamo in hotel ad un’ora decente, le 21:40, dopo solo 5 ore di viaggio di merda. Libero le valvole, mi butto sotto la doccia, mi appoggio al letto, buio.

’nuff said