TL;DR; Solo per appassionati e curiosi!
Nelle puntate precedenti:
La Giulia GTA
L’Alfetta

Nel 1931 Alfa Romeo si appresta a realizzare la sua prima monoposto. Finora, infatti, anche nei gran premi si era corso con delle biposto (la Grand Prix, la P1 e la P2, con e senza compressore). La novità dell’unico posto centrale non era cosa da poco e la casa del Biscione si apprestò a sfruttare gli spazi per produrre una monoposto da portare sui circuiti veloci, la GP Tipo A. La vettura si caratterizza per la bizzarra particolarità di avere 2 motori disposti parallelamente. Si tratta di una coppia di 6 cilindri in linea 1750, 2 valvole per cilindro con doppio albero a camme in testa. In totale viene fuori una vettura 12 cilindri 3500, che aiutata dai compressori a lobi raggiunge una potenza di 230 CV a 5200 rpm. Si tratta di una potenza specifica piuttosto limitata anche per una vettura da competizione dell’epoca, 66 CV/l contro gli 88 CV/l della P2 Compressore del 1930. La potenza assoluta, però, è sconvolgente per i parametri dell’epoca.

I motori comandano ognuno un lato dell’auto. Ad ogni motore è collegato un cambio che porta la trazione ad una sola delle due ruote posteriori, pertanto la vettura è priva di differenziale, c’è una ruota libera all’uscita di ogni cambio


(da Tutte le Alfa Romeo – Luigi Fusi)

Le leve delle marce dei due cambi sono collegate tra loro per facilitarne il comando simultaneo

(da Tutte le Alfa Romeo – Luigi Fusi)

La Tipo A durerà una stagione, riscuotendo qualche successo con Campari e Nuvolari alla guida. Sarà sostituita l’anno dopo dalla Tipo B / P3, con l’8 cilindri 2600 da 215 CV.

Proprio dalla Tipo B / P3, nel 1935, Enzo Ferrari, che allora preparava le vetture Alfa Romeo da competizione, lavorò per creare una monoposto veloce da portare in pista in attesa che Alfa Romeo ultimasse le nuove 8 e 12 cilindri.
Più che da una Tipo B, sarebbe più corretto dire da DUE Tipo B P3. Infatti la scuderia Ferrari prese due 8 cilindri maggiorati a 3100 e 270 CV e li mise agli estremi della vettura, per un totale di 16 cilindri, 6.2 l e 540 CV:


il cambio prendeva il moto da entrami i motori e trasmetteva la coppia ad un differenziale e quindi alle ruote posteriori.
Il tentativo di eguagliare le più potenti vetture tedesche dell’epoca non riuscì: troppo peso, vettura poco gestibile in curva, instabile nei rettilinei e vorace di pneumatici, soprattutto dei posteriori.
Sarà soppiantata dalla meno potente ma plurivittoriosa Alfa Romeo 12C.

Entrambe le monoposto bimotore sono visibili al Museo Alfa Romeo di Arese.

Per rivedere un’Alfa Romeo con 2 motori bisognerà aspettare l’Alfasud Bimotore Wainer, una 1200 TI modificata in modo da smontare completamente il retrotreno (e i sedili posteriori) per montate tutto il gruppo motore, trasmissione e sospensione uguale a quello all’anteriore. Il risultato era una 8 cilindri 2400 con trazione integrale.

non ebbe mai riscontro.

Se pensate che mettere un motore nel bagagliaio di un’Alfasud sia una cosa folle è perché non vi siete mai trovati di fronte all’Alfasud Sprint 6C, un prototipo da rally realizzato per Alfa dall’Autodelta di Chiti con il V6 “Busso” in posizione centrale posteriore:


ehi, qui manca qualcosa?

Qui invece c’è qualcosa di troppo…

Purtroppo mancarono i soldi per farla correre: si sarebbe dovuta scontrare con la Lancia 037.
Furono realizzati solo 2 prototipi

Sempre per applicazioni rallyistiche fu realizzata l’Alfetta GTV8

Sempre Autodelta, sempre Chiti: invece che partire dal V8 2.6 di Montreal, si partì dalla versione marina di cilindrata maggiorata a 3.0, molto apprezzata da chi gareggiava con gli idroplani

Derivate dalla Montreal la trasmissione e l’iniezione meccanica SPICA, che infatti si rompevano.
La GTV8 portò a termine qualche gara nel ’76 ma si decise di chiudere gli investimenti ed abbandonare il progetto.

Ma se vogliamo parlare delle regine delle occasioni buttate, ferita aperta e mai chiusa nel cuore di tutti gli alfisti, dobbiamo parlare della V1035 e il suo V10 pronto per l’F1

mostrato anche sulla 164 Procar

Ma questa, forse, è un’altra storia