Per la serie tanto siete bloccati a casa dal COVID, arieccoci con un po’ di storia dell’auto italiana. Stavolta parliamo di un progetto così bislacco che gli storici non sanno nemmeno che nome dargli. C’è chi la chiama Alfa Romeo Scarabeo II (o anche 3 o 4), chi Alfa Romeo 2000 Z, chi Alfa Romeo GT 2000 Junior Zagato “Periscopio”, o GT Junior Zagato 2000 Periscopio Prototipo, chi crede che il famoso “zip war Airganon” citato da Beppe Grillo fosse proprio il suddetto periscopio. Potremmo chiamarla Alfa Romeo Ornitorinco Snorky Junior e non andremmo lontano dal risultato… che effettivamente risponde in modo non banale alla domanda mai posta: cosa si ottiene mescolando un po’ di Alfetta, GT Junior Zagato, GT 2000 Veloce, e una Scarabeo (già di suo un cocktail di 33 Stradale e GTA con un pizzico di Renault 8)?


Andiamo con ordine…

Indice dei contenuti

La Giulia che vince e le altre derivate del progetto 105

Siamo nella seconda metà dei ’60 e Alfa Romeo si trova praticamente all’apice della sua riuscita tecnica, sportiva e commerciale.

In strada ci sono le Giulia e le GT derivate, incluse le 1300 Junior “La Giulia che vince”

Da queste si sono derivati prodotti per le competizioni in piccolissima serie, come le Giulia TZ, e poi la TZ Berlinetta Prototipo (esemplare unico) e la TZ2

Veri e propri laboratori viaggianti, con telaio in traliccio di tubi e motore e cambio derivati da Giulia.

C’erano anche le GT Junior Zagato 1300 e 1600 (derivate dal telaio della Spider)

e le Giulia GTA e GTAm, quelle con lo “Slittone”

Insomma il progetto 105 (la Giulia) e la sua progenie sta portando grande lustro ad Alfa Romeo.

Sul fronte più alto di gamma però le cose arrancano un po’, le berline 1750 e poi 2000, derivate dalla piattaforma Giulia, soffrono il peso degli anni. Si lavora al progetto “116”, una nuova ammiraglia per il nuovo decennio, da cui poi derivare una nuova famiglia di vetture che sostituirà pian piano la gamma Giulia. Parliamo dell’Alfetta, ovviamente.

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L’Alfa Romeo Tipo 33

Ma non di sole 4 cilindri si vive, soprattutto per una Casa che ha fatto la storia delle corse come Alfa Romeo. Ci si mette al lavoro su una berlinetta da competizione a motore longitudinale centrale, denominata Tipo 33, da cui derivare poche unità stradali: è la genesi della meravigliosa 33 Stradale e delle vittoriose Tipo 33, 33/2, 33/3, T33/4, 33 TT12 e 33 SC 12 che gareggeranno per un decennio nei campionati Sportprototipi, CanAm e in svariate cronoscalate.

La 33 Stradale monta un nuovissimo motore V8 2.0 con una potenza di 270 CV a 9600 giri… Stiamo parlando di 135 CV/l da un motore aspirato… per una vettura presentata nel 1967! Questo propulsore, rivisto per utilizzo GT, depotenziato, con cilindrata maggiorata e iniezione SPICA, accoppiato ad un cambio ZF 5 marce, troverà anche posto nell’ennesima derivata dalla piattaforma Giulia, l’Alfa Romeo Montreal (commercialmente sfortunata: meno di 4000 esemplari prodotti)

 

Tornando all Tipo 33, questa è dotata di un telaio che potremmo definire aeronautico. La parte centrale con disegno in pianta ad “H” è composta da 3 grossi tubi saldati insieme. In questi tubi è inserita una sacca di plastica sigillata che va a sfruttare la cavità per formare un capiente serbatoio della benzina. Un’idea geniale che unisce molti vantaggi e contribuisce a creare un layout molto compatto e rigido. Questa costruzione ricorda molto i serbatoi degli elicotteri, e infatti questa parte del telaio viene costruita dall’Aeronautica Sicula di Palermo.

Al posteriore vengono flangiate due sezioni vagamente coniche che servono da struttura per il castello sospensioni e il supporto motore, mentre all’anteriore le industrie Campagnolo creano un miracolo di magnesio: un reticolo pressofuso che va a formare il supporto per le sospensioni anteriori, la pedaliera, i radiatori dell’olio ecc..

Tutto lo sviluppo della Tipo 33 e delle varie derivate, sebbene nato come progetto all’interno di Alfa Roemo, viene esternalizzato (diremmo oggi) alla neonata Autodelta S.p.A., ex Auto Delta, società derivata dalla scuderia privata Alfa Corse e con sede, all’epoca, in provincia di Udine ma uffici anche a Settimo Milanese, non distante da Milano e Arese. E’ il ’64 e l’Autodelta ha da poco siglato un accordo con la casa del Biscione per espandere le proprie operazioni, passando dal fare componenti ed elaborazioni a realizzare interi prototipi e vetture. La cosa piace poco ai progettisti interni di Alfa Romeo, soprattutto a Giuseppe Busso che ormai si era guadagnato una posizione di tutto rispetto all’interno dell’azienda.

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Reminescenze di Tipo 103 e Tipo 160, ovvero: Busso non ci sta!

Il reparto sperimentale, sotto la direzione di Orazio Satta Puliga e l’estro di Giuseppe Busso, si mette parallelamente all’opera per fare paciughi di frattaglie pregiate, sperimentando attorno alla parte principale del telaio della Tipo 33, con la scusa di realizzare prototipi per lo sviluppo della supercar e, intanto, studiare una vettura a motore centrale compatta.

L’agenda di Busso è forse quella di testare diversi concetti di dispozione della meccanica, secondo teorie che aveva già cominciato ad esplorare sulla Tipo 103, un prototipo di Alfa Romeo compatta a trazione anteriore e motore trasversale, e magari far partire un programma corse interno.

La Tipo 103… ricordatevi questa faccia

Inoltre Busso forse vuole anche togliersi lo sfizio di proseguire le indagini su alcune idee proposte sulla monoposto “Tipo 160” negli anni ’50, parzialmente sperimentate su prototipi modificati di Tipo 158 e Tipo 159, ma il cui sviluppo fu poi abortito

Posto guida molto arretrato, secondo le concezioni dell’epoca in fatto di controllo della vettura, masse accentrate con motore compreso tra i due assi, freni sul lato interno del semiasse, o “entrobordo” e… uhm… trazione integrale.

Tre dei telai ad H di Tipo 33, o di prototipi molto vicini al telaio finale, restano al reparto sperimentale: Busso decide di utilizzare proprio questi telai per progettare e realizzare altrettante vetture dallo schema insolito per l’epoca, ovvero con motore centrale trasversale, per accentrare il più possibile le masse, alternative rispetto allo schema a motore longitudinale della Tipo 33.

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Longitudinale o Trasversale: dalla Lamborghini Miura all’Autobianchi Primula

Longiche e trasverscosa?? “Longitudinale” significa che l’asse di rotazione dell’albero motore è parallelo all’asse longitudinale della vettura, una linea immaginaria che va dal fronte al retro dell’auto. Idem per il cambio, relativamente agli assi degli alberi porta ingranaggi. “Trasversale” invece vuol dire che gli assi di rotazione degli alberi sono perpendicolari  all’asse longitudinale della vettura. In USA si utilizza la nomenclatura North-South per longitudinale e East-West per trasversale. Immaginando il Nord in corrispondenza del muso della vettura, il motore longitudinale è quello il cui albero motore è parallelo alla direttrice Nord-Sud, mentre il trasversale è parallelo alla direttrice Est-Ovest.

Fino ai primi degli anni ’70 lo schema più diffuso è quello di motore e cambio longitudinale. Questo vale per tutte le trazioni, sia che siano con motore e trazioni anteriori (esempio: Citroen 2CV, Lancia Fulvia), motore posteriore e trazione posteriore (VW Maggiolino, FIAT 500), motore centrale e trazione posteriore (la già citata Alfa Romeo 33 stradale, o la Ford GT40) o motore anteriore e trazione posteriore. Quest’ultimo schema è quello più usato in Alfa Romeo, vediamo l’esempio della disposizione meccanica su Giulia GTA:

Motore in blocco (cioè direttamente collegato) al cambio in posizione anteriore e disposizione longitudinale, trazione posteriore. Scusate la qualità dei disegni, ma senza scanner questo è quello che sono riuscito a fare. 🙂

Passare da uno schema longitudinale ad uno trasversale, all’epoca, era un discreto grattacapo. Ad esempio in Lamborghini lo fecero per Miura: l’idea di realizzare una vettura a motore centrale trasversale adattando il motore e la trasmissione della 400GT, che aveva uno layout simile a quello disegnato sopra, portò a girare entrambi di 90° traslando il cambio e il differenziale dietro al motore, inglobandoli nello basamento del motore.

Da così:

A così:

Realizzando un layout che ho rappresentato schematicamente:

C’è voglia di motori trasversali non solo nelle supercar, ma anche nelle utilitarie. I costruttori di piccole auto iniziano a capire i vantaggi a livello di spazio per gli occupanti di un layout con motore anteriore trasversale e trazione anteriore. Issigonis con la sua Mini prova una soluzione se vogliamo concettualmente simile a quella di Miura, con il cambio sistemato sotto all’albero motore nella coppa dell’olio del motore stesso. Un layout compattissimo, con ridotti sbalzi all’anteriore, ma che porta ad alzare il blocco motore e quindi il baricentro della vettura, e risulta di complessa realizzazione e manutenzione. Autobianchi e FIAT, con la Primula prima e col 128 poco dopo, realizzano lo schema oggi universalmente diffuso tra le vetture con motore anteriore trasversale, ovvero con motore a sbalzo sull’asse anteriore col cambio in blocco ma disassato:

Una soluzione compatta, economica da realizzare, che vede come svantaggi l’avere semiassi di lunghezza diversa e la creazione di uno sbalzo maggiore davanti alle ruote anteriori.

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Nascono le O.S.I. Scarabeo

E in Alfa? Busso per i suoi esperimenti a montore centrale trasversale sceglie di risparmiare tempo e soldi: invece che studiare un cambio ad hoc, prende tutto il blocco motore frizione e cambio da una GTA, lo gira di 90° e ci aggiunge un albero di trasmissione inclinato a 45° per dare moto ad una cascata di ingranaggi e infine al differenziale posteriore.

E’ una disposizione a dir poco stramba, perché così il motore e il cambio occupano tantissimo spazio in larghezza, tutto il peso del motore è spostato da un lato, le trombette di aspirazione risuonano direttamente nella testa del pilota o del passeggero, resta poco spazio al cinematismo delle sospensioni. Per ulteriore risparmio Busso prende un po’ più che spunto dalle sospensioni della Renault 8. Anche perché all’epoca Renault e Alfa Romeo avevano rapporti consolidati, ad esempio Alfa Romeo assemblava le Renault Dauphine/Ondine e le R4 al Portello per il mercato italiano. Sarà per questo che la Tipo 103 e la Renault 8 hanno un visino che si assomiglia tanto?

Ve la siete ricordata la faccia della Tipo 103?

E siccome il risultato non è ancora abbastanza strambo, all’uscita del differenziale vengono montati direttamente i freni a disco, una soluzione che prende il nome di “freni entrobordo“, per risparmiare masse non sospese.

Questo particolare dettaglio tecnico dei freni entrobordo troverà applicazione in serie su Alfetta e derivate e su Alfasud e derivate.

Insomma viene confezionato un bel pacchetto di stramberie da appiccicare al telaio ad H molto simile, se non identico, a quello della Tipo 33.

Si manda tutto alla O.S.I. e ci si fa confezionare 3 vestiti… in realtà 2 e mezzo, perché il terzo è poco più di un bikini. Nascono le Alfa Romeo O.S.I. Scarabeo, di cui 2 esemplari verrano presentati al Salone di Parigi del ’66.

Un esemplare aveva guida a sinistra, proporzioni classiche da berlinetta a motore centrale, porte convenzionali e un andamento della parte posteriore a coda tronca dall’aspetto vagamente simile a quello delle TZ

 

L’altro esemplare presentato invece aveva il posto di guida molto molto molto arretrato, con una linea sbilanciata al posteriorene il particolare dell’accesso all’abitacolo tramite apertura della carenatura che integra il parabrezza, in stile aviazione militare, aggiunge un tocco di futurismo. I cornetti di aspirazione sbucano in abitacolo, coperti da un plexiglass, direttamente dietro la testa del passeggero, dato che questo esemplare ha la guida a destra (forse proprio per evitare al pilota di rimanere stordito dopo pochi minuti)

Infine viene realizzato anche un terzo prototipo sperimentale, mai presentato, con carrozzeria in stucco e carta stagnola, strumentazione presa dalla serie e buttata a caso dietro al volante, senza fari, senza porte, senza cofano posteriore, senza soffitto, senza cucina, non si poteva entrare dentro perché non c’era il pavimento, ma era bella bella davvero, in Via Luraghi al numero 0, in cui si possono notare tutti i dettagli della meccanica e gli “snorkel” che portano aria al radiatore e all’aspirazione.

Nonostante gli sforzi fatti per limitare i costi di produzione al limite, riadattando al massimo componenti di serie, non si produrrà nessuna piccola serie di auto sportive basate sulle strambe Scarabeo: con buona pace di Busso tutti i piani sportivi della Casa passano per l’Autodelta di Chiti che intanto, finita in liquidazione, è stata assorbita dall’Alfa Romeo andando a formare quello che diverrà noto come Reparto Corse Alfa Romeo. Le Tipo 33, le Giulia GTA, Le TZ e le Junior Zagato, tutte passano dal RCAR.

Tutto il lavoro sulle O.S.I. Scarabeo passò all’Autodelta che integrò diverse soluzioni sulla Tipo 33/2, la capostipite di tutte le Tipo 33, denominata internamente Fléron (dal nome di una cronoscalata belga) o Periscopica (guarda un po’) per via della vistosa presa d’aria dietro ai roll bar

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Finalmente: la 2000 Z Periscopio

Tutto questo preambolo tecnico e storico per giungere finalmente alla genesi dell’ornitorinco col boccaglio!

Ora immaginate che siano passati 7 anni dalla presentazione delle prime Scarabeo: siamo nel ’73, sulle strade già circolano le Alfetta. Qualcuno pensa che possa essere utile risvegliare gli animi sportivi con un nuovo modello da far apparire nelle corse, derivato però dalla meccanica della nuova berlina. Questo qualcuno è sempre Busso, a cui prudono le mani e ha campo libero e la scusa perfetta per paciugare ancora con frattaglie pregiate.

Immaginate di essere Giuseppe Busso e di avere un budget praticamente nullo per un progetto che nessuno vi ha chiesto, ma di avere tante idee e un po’ di parti in cantina, che fareste?

Beh ecco che fa il buon Busso. Prende tutta la parte anteriore dell’Alfetta, sospensioni con barre di torsione longitudinali incluse, compreso il pavimento sotto i sedili anteriori, ma lasciando giù il motore. Dietro appiccica tutto un telaietto dedicato in stile Scarabeo, su cui adatta uno schema di motore e trasmissione del tutto simile a quello della Scarabeo, ma ruotato di 180°. Così le trombe di aspirazione sanno verso l’esterno, e non in testa agli occupanti, e soprattutto resta spazio per sistemare altre frattaglie di Alfetta. Per motore e cambio va a pescare dalla GT 2000 Veloce, sportivo ma più economico del costoso gruppo delle GTA, adattando alla rotazione tutta la parte di albero a 45°, scatola ingranaggi e differenziale già utilizzati sulla Scarabeo, inclusi i freni entrobordo. Per le sospensioni posteriori opta per il ponte DeDion con parallelogramma di Watt preso dalla stessa Alfetta. Il layout della meccanica è buffo proprio quanto quello della Scarabeo:

Non sapendo cosa fare per la parte estetica e non avendo soldi da spendere, si fa riadattare la carrozzeria della Junior Zagato ma con carreggiate allargate, passo allungato, sportelli del tappo serbatoio che si aprono sul nulla (il serbatoio è davanti), carenature con prese d’aria sui finestrini posteriori, un grosso buco nel paraurti posteriore per sfogare l’aria calda e, appunto, un vistoso “periscopio” sul tetto per portare aria al motore.

Il risultato, notevole:

Piacque alla dirigenza? Molto meno di no. Sarà che sembrava uno Snorks? Sarà che nessuno ne sentiva il bisogno?

Rimase un esemplare unico, abbandonato al Portello e poi ritrovato e conservato nelle catacombe del Museo Alfa Romeo e tirato fuori occasionalmente, di solito insieme ad altre stramberie come la Sprint 6C e la Z6… ma queste sono altre storie.

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