La natura è così, mi istiga la riflessione. Ci ho pensato ieri prima di addormentarmi, a come certi luoghi trasmettano insieme sensazioni di pace e di inqueitudine. Inquietudine di sapere, esplorare e conooscere, che si riflette in una serie di domande, come un interrogatorio interiore… è sempre un rischio, poi chissà cosa ne esce, cosa scopri.
Così, il faro sospeso in mezzo al mare, la notte insonne tra cicale, le cascate, perfino la solitudine artificiale di un 103esimo piano o quelle rocce che spuntano dal nulla nelle pianure sconfinate, stanno aprendo in me nuovi sentieri di consapevolezza.
Più scorrono le miglia e i panorami, più cambiano i cieli sopra la mia testa, più affiora in me qualcosa di nuovo. Evidentemente, come spesso accade, questo non è solo un viaggio geografico nello spazio e nel tempo, ma è anche un mio girovagare interiore.
Il verbo giusto sarebbe “errare”, che se la meta fisica è nota, non lo è quella del mio pensiero, per cui mi ritrovo a procedere per dubbi e mezze risposte.
Una misto di sensazioni, emozioni, pensieri e ricordi, persone che vorrei aver vicino, decisioni che credevo già prese, e invece ora boh… tutto si mischia e fa le capriole a livello del basso ventre, quello che doveva esser un viaggio che mi consentisse di chiudere tante cose, sta risvegliando un’irrequietezza latente. Non si può mai star tranquilli.
Son sicuro che come sempre il mare o, meglio, l’oceano, rimetterà a psto le cose, non fornendomi le risposte, ma esaurendo le domande, in un atto di comprensione istantanea. Sarò sincero: ora mi manca un po’ la Calabria, la spiaggia, i bagni di mezzanotte, il mare in generale. Ne ho bisogno: mi dovrà bastare la California.
E sticazzi! Che viaggio vi siete fatti dentro i cazzi miei? Chissà perché questo momento sentimental-ormonale, sarà il ciclo? O è l’effetto delle palle di toro?
Sì perché dato che abbiam dormito alla periferia di Denver, oggi abbiamo fatto un giro in centro. Denver è abbastanza piccola, conta 560mila abitanti circa, le strade son tranquille, i grattacieli molto bassi. Tra l’altro, la città si erge a 1500 metri di quota. Non lo diresti mai perché non c’è un tornante per arrivarci, solo una lenta e gradualissima salita, e poi boh, non ha l’aria di città di montagna.
Decidiamo di farci una vascata su e giù nella zona pedonale, è più un prender tempo. Siamo rimasti in città solo per due cose: l’arrivo di Camilla all’aeroporto di Denver e… le palle di toro.
In centro facciamo pure un po’ di shopping in un negozio di souvenir: io mi compro due spillette e il cappello, finalmente! Che vacanza sarebbe senza copricapo caratteristico?Ora ho il kit completo, sono a posto. Ho anche il tempo per constatare che, come in altri posti, non esistono tazze colorate che non abbiano sopra scritto il nome del posto in cui ti trovi, probabilmente è così in tutti gli USA.
Ok, scocca l’ora X, ci dirigiamo verso il più antico ristorante di Denver. Ciocco nel parcheggio del ristorante, ma non è niente di che, il musone dell’Ammiraglia Lisa Chinaire Grey mi ha tratto in inganno. Dentro ci accoglie un omone che probabilmente caccia bisonti a mani nude.
Il locale è completamente tappezzato di trofei di caccia imbalsamati: dall’alce al panda rosso, c’è tutto. Anche la testa di un bisonte veramente enorme. Siamo venuti qui solo per un motivo, mangiare le Rocky Mountain Oysters, letteralmente le Ostriche delle Montagne Rocciose.
Ora, che genere di ostriche vuoi trovare sulle Montagne Rocciose? Mitili di fiume? Noooo! Fossili di trilobite? Forse, ma noooo!
No, le ostriche in questione sono… palle di toro, impanate e fritte. Potevamo noi esimerci dal mangiarle? Ovviamente no.
Quando arrivano non sembrano così “orride” come uno se le può aspettare. Son dei dischetti impanati (evidentemente le hanno fatte a fette), servite con una cremina bianca di dubbia provenienza… in realtà è uno Tzatziki (o come catzo si tzcrive) molto leggero: divoriamo coglioni di toro e cremina bianca come fossero patatine, siamo leggermente affamati.
Io poi per tenermi leggero ordino una zuppa di fagioli, Marco dei salsicciotti (ehi, chissà che parte del toro sono!), Andrea bistecca e il Penny code di alligatore fritte.
L’estrema leggerezza del nostro pranzo fa subito sentire i suoi effetti: passo strascicato, cervello annebbiato e idee poco chiare. Passiamo al museo d’arte moderna, 10 verdoni (ridotto) per l’ingresso! Mai, meglio spenderli in cibo che in cultura! Dato che però abbiam pagato il parcheggio, prendiamo un po’ di aria condizionata nello shop del museo.
Non è che fuori faccia caldissimo, siamo pur sempre a 1500 metri di quota, la temperatura è intorno agli 86-89°F, niente a che fare con i 103 di Kansas City. Comunque il sole picchia forte, meno male che ho il cappello.
Rinfrescate le idee, puntiamo al Red Rocks Park, dove ci dovrebbe essere un anfiteatro naturale tra costoni di roccia rossa. Per arrivarci, un cinema. Prima facciamo una strada che ci porta ad una base militare, no, cannata. Poi riprendiamo l’autostrada e leggo all’ultimo l’indicazione, che però era messa già dentro la rampa di decelerazione dell’uscita. Allora niente, esci a quella dopo e torna indietro.
Però in questo senso di marcia non ci sono i cartelli, al bivio destra o sinistra, tu dove vai? Sinistra. Cominciamo a salire verso nord ma no, la direzione è sbagliata. E ora come invertiamo? Boh, gira qui.
Facciamo una simpatica gita in uno di quei tipici quartieri residenziali con casette basse, macchine parcheggiate appena fuori dal box, giardinetto e tutto il resto. In qualche modo ci riallacciamo all’autostrada, non so come, e riusciamo a prendere l’uscita giusta e legger le indicazioni.
Parcheggiamo e comimciamo a salir la scalinata dell’anfiteatro. Oh, si sente che siamo a 1500 m, ho un fiatone… o sarà il pranzo?
Comunque, dopo aver visto quello di Taormina, questo non è che sia un granché. Sì l’acustica spacca, ci sono i roccioni e vedi un bel pezzo di colorado, ma per il resto…
Nella Hall of Fame apprendiamo che ci sonoo passati un po’ tutti di qua, da Bob Marley ai Pearl Jam. Risalendo la breve scalinata dalla Hall of Fame al piano superiore dell’anfiteatro (una trentina di gradini, poco più), vedo un cardiofrequenzimetro pubblico. Appoggio le mani e il display dice: 180 battiti/minuto. Sticazzi!!
Vabbè, cambiamo parco, ci dirigiamo a sud del centro e ci piazziamo nel parco cittadino, dotato di doppio lago, campo da golf e zoo. E fa pure il caffè.
Per smaltire i testicoli di toro decidiamo di scannarci in una sessione di Ultimate Frisbie, a torso nudo da bravi machi. Deh, siam proprio fighi. Marco ha qualche problema con la presa al volo, ma per il resto siamo gasati. Corriamo,sudiamo, ci rotoliamo sull’erba.
Quando finalmente le energie scemano, decidiamo di seguire un consiglio della Lonely Planet. ERRORE!! Mai seguire i consigli di quella cazzo di guida, MAI! Andiamo al Mynt Lounge che per 3 dollari dovrebbe fornire spuntini a iosa e cocktail. Col cazzo. Niente spuntini, e per 3 dollari ti portano solo la birra.
Niente Spritz, no Sbagliato, nemmeno un Vodka Crodino (detto Crodka), niente. Ecco, questi sono i momenti in cui mi manca tantissimo l’Italia. Voglio uno Sbagliato, e che cazzo! Mi manca il Tarde che mi con 4 euro al venerdì sera mi rifornisce di ali di pollo e Sbagliato, dai, possibile che in un posto così grande, in quella che dovrebbe essere una delle prime potenze mondiali, non sanno che cos’è un Americano, un Negroni, uno Sbagliato o uno Spritz?! E alle 20.00 hanno già finito gli spuntini da happy hour?! FOTTETEVI!
Il Mynt Lounge si salva solo perché ad un certo punto arriva una barista superfiga e mi fa segnare un +1 con Pritti, ma per il resto… almeno ci consigliano un locale lì vicino dove andare a saziare il nostro appetito. Appetito di cibo, per gli altri appetiti c’è poco da fare.
Allora svoltiamo sulla quattordicesima e andiamo in questo ristorante semi-tedesco. Fuori c’è una “butta dentro” semi-messicana che ci convince ad entrare, solo perché sfoggia un Italiano americanizzato che è una meraviglia: “sono stata in Italia 4 mesi, tutto molto belloOOOooo. E loro cosa fanno in Colorado?” Ma loro chi? Ah, noi.
Io ordino orecchie di maiale fritte. La tizia “ma sei sicuro?” sì. Il cameriere “Are you sure?” e che cazzo “yes”, le hai messe a menù, ora me le porti. Dopo le palle di toro, ci vanno le orecchie di maiale, è il minimo!
Mentre Penny pratica fellatio al corn dog che ha ordinato, con immensa ilarità di tutto il personale del locale, compiliamo una lista di pratiche sessuali già provate, all’urlo di “CHECKED”, e ci segnamo da parte quelle che ci mancano.
Siamo in ritardissimo per andare a prender Camilla, aspetterà, dobbiamo prima fare delle foto con Lisette, la cameriera messicana che parla Italiano. In autostrada per l’aeroporto siamo tutti pieni di pipì, e la meta sembra sempre troppo lontana! Fortunatamente in attesa di Camilla in 3 riusciamo a svuotarci, così almeno dietro non stiamo strettissimi…
E dai, a bordo dell’Ammiraglia Lisa Chinaire Lisette Grey, verso il motel Super 8 dove occuperemo abusivamente in 5 la stanza da 4, tutti a nanna che domani ci si sveglia prestissimo per andare al Bryce Canyon Park, altra tappa da almeno 800 km… ‘notte! D’oh, Super 8 pieno, recuperiamo con Luxury Inn (c’è pure la piscina)
‘nuff said
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