Parto dallo spunto che ho trovato in questo post di Dalla Parte di Asso Merrill.

L’autore scrive:

Ma se ogni volta che un giornalista parla di un argomento che conosciamo bene, scopriamo che dice stronzate… quante stronzate ci hanno detto sui tanti argomenti che conosciamo poco?

E io ripenso a tanti servizi di Report che ho apprezzato molto e che, almeno in parte, mi hanno aiutato a costruire i miei strumenti di decodifica del mondo che mi circonda e mi chiedo: quante?

domande condivisibili ma che secondo me partono dal punto di vista sbagliato, che vede il pubblico in un atteggiamento passivo, intento ad accettare tesi giornalistiche come vere, così come sono. No ragazzi, non ci siamo.

Io sono un grande fan della Gabbanelli o ad esempio del Travaglio, ma mai mi sognerei di prendere per vere, così come sono, le cose che argomentano. Prima di tutto, il giornalismo di inchiesta vive di ipotesi, tesi e argomentazioni volte a dimostrare la tesi. Ora, già il fatto che la tesi vada argomentata e che non sia presentabile come vera in assoluto, deve far capire che c’è sempre qualcosa di opinabile e che tale tesi può essere smontata utilizzando altre argomentazioni, più o meno valide. Quello che conta è il metodo di indagine, la rigorosità, la validità delle argomentazioni.

Report e compagnia cantando vanno presi come strumenti da utilizzare per crearsi una propria visione critica del mondo, ma non sono gli unici che abbiamo a disposizione. Il lavoro del bravo giornalista di inchiesta si esaurisce nell’argomentare la tesi. Mentre quello del bravo ascoltatore, del net-citizen informato ecc, parte da tale tesi e prosegue con attività di ricerca personale, se interessa. Ovvero, i servizi di Report devono essere dei punti di partenza per iniziare la riflessione su problemi su cui non eravamo informati, non possono e non devono essere punti d’arrivo. Perché se stai lì ad aspettare che la verità di venga rivelata, mi spiace, ma poi è inutile che ti incazzi, rischi di trovarti ad essere in breve tempo in balia del giornalista che espone meglio la sua tesi.

Se c’è una domanda che possiamo farci, semmai, è personale: a che punto mi sono fermato nella costruzione della mia visione critica? E, poi, più in generale, esistono verità già svelate?

Secondo me no, non esistono. E, soprattutto, quello che conta è il percorso che ci porta al raggiungimento di una fra le tante verità, più che la verità stessa. Io, come mia personale filosofia di vita, mi riservo di non credere a nessuna verità che venga spacciata come tale, anche quando a raccontarmela è un giovane capellone emaciato con fori passanti all’altezza di polsi e caviglie.

Dubitare, signori, dubitare sempre. Guardate il mondo con un sopracciglio alzato e l’altro no, se siete capaci.

Il dubbio è scomodo ma solo gli imbecilli non ne hanno. (Voltaire)