Stamattina mi son svegliato tardi, il motel 6 in cui abbiamo alloggiato aveva il checkout a mezzogiorno. Penny si è svegliato prestissimo per portare Camilla in aeroporto, poi quand’è tornato è andato con Andrea a procacciare la colazione. Io ronfavo beato, ho sognato che passavo il Mante 2, che Valentino Rossi vinceva il mondiale e che ci noleggiavano a gratis delle motorette, ma dovevamo andar in giro con un “Christian Hat” e quindi rinunciavamo. Viva il congiuntivo.

Abbiamo investito la mattinata cercando un posto in cui dormire a New York, cosa non da poco. Alla fine abbiamo trovato un posto a Madison Square Garden, 463 dollari sonanti e qualche doblone scintillante per 2 due notti, 3 persone. E che cazzo! Pago io con la carta, così mi ritrovo con 300 e passa verdoni da spendedere in cuffie per l’iPod, All Star nuove e Levi’s. D’altra parte l’alternativa era una tenda in Central Park o magasi un posto su un vagone della metro. Tra l’altro che fastidio sapere che il Central Perk Cafè non esiste veramente. Comunque, usciamo dal motel invaso di Francesi chiassosi e poco dediti all’igiene personale e ci spostiamo di qualche metro, per prenotare il motel per stanotte, l’ultima in San Francisco, l’ultima sulla costa ovest, almeno per questo mese.

I motel della catena Motel 6, infatti, hanno tutti una qualità mediamente accettabile e un prezzo standard abbastanza abbordabile, però offrono veramente il minimo. Altre catene, per qualche spicciolo di più, offrono la colazione e delle stanze più invitanti. A volte, anche a prezzi leggermente inferiori. Bisogna solo stare attenti a non farsi fottere dal solito giochetto delle tasse, che qui tutti i prezzi son dichiarati senza tasse.

Prenotiamo, chiediamo se c’è la lavanderia, la tipa ci ride in faccia, deduco di no, ci buttiamo sull’auto e andiamo in centro. Prima tappa: tratto tortuoso di Lombard Street.

Lombard St, come tutte le strade di Frisco, va da una parte ll’altra della città dritta come un fuso, senza scostarsi minimamente dalla perpendicolarità con le altre vie. Certo, fa un su e giù allucinante, da vertigini, però è dritta. Tranne in un punto, in cui si attorciglia in un serpentone da fare a due all’ora, così, senza motivo. Però che stile le villettine ai lati, belle davvero. Fatto il tratto tortuoso di Lombard St., è ora di trovare un parcheggio.

Giriamo per un po’, i parcheggi ai lati della strada son tutti a tempo, massimo 2 ore. Non ho idea di come vengano calcolate le due ore, dato che non ci sono parchimetri e e le auto non hanno il disco orario. Boh, forse semplicemente si fidano? Noi comunque ci avvaliamo di una botta di culo: parcheggio a 10 $ tutta la giornata, noleggio bici a 20 $ a testa per tutto il giorno, ovviamente dai cinesi! Molliamo l’auto e saliamo su queste bici, mezze mountain bike, con l’anteriore e il sellino ammortizzato. Il sellino fa su e giù, gira e ogni tanto scende al livello minimo, anche stringendo fortissimo la fascetta. Vabbè, amen.

Ci mettiamo in sella e andiamo al molo 39, dove dovrebbero esserci i leoni marini che si sollazzano sui bancali del molo. Ci arriviamo molto facilmente, che la strada è tutta in discesa, facciamo un giretto per tutti i negozietti e le bancarelle del molo. Sì perché il molo 39 è pieno di puttanate turistiche, c’è ancce il Bubba Gump dove si mangiano i gamberetti di Bubba e Gump (gamberi con patate, gamberi al forno, code di gamberi, gamberi al vapore…) e un Leftorium, il negozio per mancini alla Ned Flanders. Però i leoni marini ci sono davvero, belli spaparanzati su appositi bancali ormeggiati al molo. Bella la vita dei leoni marini, secondo me competono con gli elefanti marini.

Comunque, ci rimettiamo in bici alla ricerca della Grace Cathedral, che è da qualche parte all’angolo tra due vie in salita. Ma non una salita normale: metto il rapporto 1 davanti e 1 dietro, faccio diecimila pedalate al minuto e la bici sale di mezzo centimetro, si impenna perché cazzo la salita è un muro, non è mica una strada. Niente, devo scendere, poi risalgo, almeno fino all’incrocio con la Lombard che, come tutte le strade di Frisco, è lunghissima, quindi ovunque tu sia nella città, prima o poi la incroci. Sliamo fino alla cattedrale, c’è una cinese che spinge un carrello in salita, è praticamente sdraiata parallela alla strada, per farvi capire la pendenza.

La cattedrale è molto bella. A me, in generale, piacciono le cattedrali: sono luoghi silenziosi e ampi, solenni. Mi piacciono. Questa poi, mi piace ancora di più: c’è anche un mosaico su una finestra che ritrae Albert Einstein (anche se non riesco a trovarla) e una cappella “Intercoffessionale” dedicata alle vittime dell’AIDS con dentro un trittico di Keith Haring. Fantastico. Dentro e fuori, sul pavimento, trovano posto due “labirinti” circolari, stile settimana enigmistica. Fuori c’è una biondina a piedi nudi che lo percorre, niente male devo dire. Ci vuole un bel po’ prima che finisca, arrivando al centro del percorso.

Di fianco alla cattedrale c’è un museo dedicato alla massoneria californiana, mi sembra giusto. Dato che la pedalata ci ha sfiancato, decidiamo che è ora di nutrirci, e Chinatown è così vicina… E poi è tutto in discesa, uiiiiiiiiiiiii!! Mi ricordavo di un “all you can eat” dai cinazza, ma è chiuso. Di fronte, però, c’è un negozio che prepara i tipici ravioli cinesi, ripieni di contenuti ignoti, materiali per l’edilizia, segatura, carne di dubbia provenienza e verdure aliene. Lasciamo che si Andrea ad ordinare, in un perfetto cinese, ci sediamo e mangiamo. Io e Penny abbiamo pure un bibitone a base di the esotico, con in fondo dei simpatici fagioli di soia che, all’improvviso, si infilano nella cannuccia e ti si piantano in gola. Buoni.

Facciamo anche la cazzata di prendere dei dolci, sono stranissimi. Ce n’è uno che sembra un molliccio membro nordafricano, gli altri sono fagottini gommosi ripieni di roba colorata, dai sapori indefiniti. C’è anche un fagotto di foglie di bambù con dentro riso stra-incolloso, fagioli e cotenna. Il pranzo giusto per rimettersi in bici.

La tappa dopo pranzo è il Virgin Store che avevo visto in centro, tra la Market e Post street, perché devo comprar le cuffie, che le WeSC che avevo preso a Londra si son rotte e non trovo più lo scontrino. Il Virgin Store è lì, con l’insegna enorme, e sopra le vetrine tutte le città in cui è stato aperto un Virgin Store. Come Milano, dove adesso però c’è un Mondadori Multicenter. E questo Virgin Store di Frisco, come sarà? Vuoto. Vuoto e abbandonato. In effetti, mi sa che la catena Virgin ha fallito da un po’ e non ve ne sono più di Virgin Store aperti nel mondo. O sbaglio?

Che inculata, però sulla strada becchiamo uno dei tanti mendicanti con un cartello ricco di saggezza e verità assoluta: “ass watching is a sport”, chissà quando approderà alle olimpiadi! Vabbè, decidiamo di andare al Golden Gate Bridge (il famoso ponte rosso di Frisco) passando da Japan Town, tanto il tempo è bello, l’aria serena, c’è solo un leggero venticello. Venticello che diventa vento gelido quando, dopo un numero indefinito di salite ripide come pareti, e discese stile salto nel vuoto che ti devi aggrappare ai freni e sbilanciare indietro sulla sella per evitare il cappottamento, raggiungiamo la ciclabile che costeggia l’oceano.

Il vento si è portato dietro anche una nebbia spessa, che passa veloce sulle nostre teste e, in un attimo, mentre remiamo coi pedali controvento, tutto il paesaggio intorno si fa girgio. Il Golden Gate Bridge è sparito, inghiottito dalla nebbia. Ci mettiamo un po’ a raggiungerne uno dei pilastri, il vento ci riallenta parecchio, comunque con noi sulla ciclabile ci sono altri ciclisti e podisti, San Francisco sembra un bel posto in cui vivere, anche con questa nebbia fitta.

Arriviamo sotto uno dei piloni. C’è una rete metallica con su attaccata una targhetta con la sagoma di due mani, i podisti arrivano, appoggiano le mani sopra e invertono la direzione. Sotto c’è anche una omologa targhetta con il segno delle zampe dei cani. Il vento è forte, la nebbia fitta, riusciamo a malapena a vedere il ponte sopra di noi, solo la sagoma, come in uno spettacolo di ombre cinesi. L’altro capo del ponte è in forse, non siamo del tutto sicuri che ci sia. Nonostante il freddo porco, c’è un surfista con muta e coraggio da vendere immerso nell’oceano gelido.

Ripercorriamo la ciclabile in senso opposto, col vento in poppa raggiungiamo la zona dei moli. Ci fermiamo per un Clam Chowder Bread-bowl. Ormai siamo diventati dipendenti da questa zuppa marittima, vogliamo provare la variante servita in una pagnotta scavata. Costa 5.50 alle bancarelle, più le fottutissime tasse. La mollica del pane è servita a lato, la puoi pucciare nella zuppa. Peccato che si tratti di pagnotta lievitata pochissimo, con un sapore acidulo che la rende poco mangiabile e poco digeribile.

Lì vicino c’è il museo dei vecchi giochi arcade, quelli delle sale giochi, ma alcuni sono vecchissimi, con pupazzetti strani e un po’ inquietanti. Ci sono anche quelli che ti leggono la mano, o che propongono animazioni vietate ai minori di 18. Io faccio fuori 75 centesimi: 50 in un gioco di auto, 25 in Marvel VS Capcom, un classico.

Quando usciamo di là, fa un freddo ancora più pungente, per fortuna i cinesi del noleggio e parcheggio son qui vicino. Mollate le bici e ripresa l’auto, facciamo un lungo giro alla ricerca di murales e starbucks. Dei primi ne troviamo un bel po’, di starbucks aperti ce n’è pochi. Questa città non la capisco, alle 21 chiude tutto! Scoraggiati, ci dirigiamo in un quartiere poco distante per una birretta in attesa che le robe si lavino nella lavenderia a gettoni. Peccato che queste chiudano tutte alle 22, e ormai sono le 21.40… ma bbbbaffanculo!!! Comunque, il quartiere è carino e pieno di murales con trichechi.

È già ora di tornare in motel. Dobbiamo preparare le valigie e l’itinerario per New York!

p.s.: post pubblicato in ritardo causa problemi di rete.

‘nuff said