A quanto pare il punto più basso degli Stati Uniti non è Badwaters, nella Death Valley. Abbiamo scoperto che il punto più basso degli USA è a Hollywood, in particolare sul Sunset Boulevard, dopo il curvone. Si chiama Body Shop ed è uno strip club.
L’ingresso costa 10 $ e sono obbligatorie due consumazioni, ma niente alcol. Altri 10 $ per 2 bottigliette d’acqua e per assistere allo spettacolo. Sinceramente speravo in qualcosa di meno squallido, invece no. Le ragazze erano belle, però in tempo zero erano completamente nude. Scemo io che cerco la poesia negli strip club.

Comunque noi ci teniamo a debita distanza dal palchetto della lap dance, lì è un attimo che ti ritrovi con un culo piantato in faccia, inoltre se vuoi star lì devi continuar a gettar dollari sul palco, poi la “ballerina” con le mutandine e il reggiseno in mano passa a rastrallare. Ci piazziamo in fondo, ma veniamo continuamente “disturbati” da altre ragazze che ci chiedono se vogliamo un balletto privato: quando sentono che siamo Italiani una dice che ha parenti in sicilia, l’altra è per un quarto italiana (le ho chiesto bene, ma non ho capito), un’altra ancora parla proprio in Italiano.

Quella per un quarto italiana ci tiene proprio a farci un balletto privato, ma benché io glielo spieghi in tutte le lingue, proprio non lo vuol capire che ho solo 10 $ con me. Mi dice pure una cosa del tipo “guarda che non sono scema, sei venuto fin qua dall’Italia, se vuoi i soldi ce li hai!”. Quanta saggezza in queste parole.

Comunque Hollywood fa proprio cacare. Con la “c”, cacare. L’Hollywood Bulevard, quello con tutte le stelle con i nomi di personaggi famosi sul marciapiede, è sporco e malmesso, vi si affacciano anche negozi di dubbio gusto. Sarà che sono le 3 e mezza passate? Boh. Arrivati in motel io crollo, le ore di guida e la passaggiata avanti e indietro dallo strip club mi hanno sfiancato.

Stamattina l’Hollywood Boulevard non sembrava meglio di ieri sera, ma siamo carichissimi perché siamo molto molto molto vicini a mettere la spunta sull’obiettivo più importante della vacanza, raggiungere l’oceano Pacifico. Prima però, facciamo un giro nei luoghi cult. Non è che ci siano cose particolari da vedere, almeno secondo noi, se non la città in sé. Saltiamo il centro di L.A. e ci dirigiamo direttamente a Beverly Hills, sulla Rodeo Drive, l’equivalente della nostra Via Montenapoleone. Solo che da noi è più figo, c’è poco da fare. Comunque, anche qui, negozi dai prezzi folli e gran sfoggio di macchinoni.

Ci spostiamo a Bel Air, i cancelli sono aperti! Il ricco quartiere residenziale è infatti recintato e chiuso da cancelli in ogni punto di ingresso, aperti o chiusi a seconda dello sghirbizzo degli eccentrici residenti. Le stradine interne sono tortuose, un gomitolo, tra l’altro ci sono lavori in corso a rendere la scalata più complicata. Siamo alla ricerca della mitica dimora degli zii di Willie il principe di Bel Air, ma dopo vari giri non riusciamo a trovarla. Decidiamo che l’ora è giunta, ci dirigiamo dritti in spiaggia.

Scegliamo di andare a Venice, quartiere molto “variopninto”, diciamo. Deve il nome al fatto che il nucleo originale era stato pensato come una piccola Venezia, con una serie di canali navigabili. Io ci tengo molto ad andarci, perché Venice (e più in generale L.A.) fa da sfondo ad una delle mie serie TV preferite, Californication, il cui personaggio principale è Hank Moody, uno scrittore decadente/decaduto decisamente somigliante all’Hank Cinasky di Buckowsky, che a sua volta è un misto di fantasia e autobiografia.

Insomma, essere a Venice spacca: è un quartiere un po’ da fuori di testa, tutto case basse, palme e negozietti colorati. E in fondo c’è il mare. Anzi no, l’oceano! Parcheggiamo e ci fiondiamo in spiaggia, ma ci mettiamo un bel po’ prima di arrivare a toccare l’acqua: la spiaggia è lunghissima e larghissima, una distesa infinita di sabbia finissima e, in fondo, il Pacifico un po’ incazzato. Corriamo, l’emozione è tanta, ce l’abbiamo fatta! Contro ogni pronostico e in barba alle risa di chi non ci credava, noi ce l’abbiamo fatta. Un viaggio di 20 giorni, da costa a cota, da un oceano all’altro. Ed ogni giorno è stato lungo un mese tanto sono state dense le nostre giornate, piene di aneddoti, avventure e tante, tante, tante risate. Ora questo oceano gelido e un po’ incazzato è la nostra ricompensa, il nostro letto alla fine di una giornata intensa, dove tuffarsi e abbandonarsi, lasciare che la soddisfazione salga piano e questa bella stanchezza lasci il posto ad un calmo riposo. E sticazzi, è veramente gelato questo oceano, ma quanto l’abbiamo cercato! Dall’Atlantico di Cape Cod al Pacifico di Venice, tutto in auto, con compagni di viaggio fantasici. Purtroppo, proprio oggi che abbiamo raggiunto la meta, Marco dovrà ripartire, appena in tempo però!

Via il dente, via il dolore, corriamo sulla spiaggia invasa da gabbiani e pellicani, ci tuffiamo nell’acqua fredda e giochiamo un po’ con le onde. Madonna, che scena gay! Vabbè, il fondo è basso, ma le onde sono maestose, che figata! Ad un certo punto… pinne in lontananza. Ma nemmeno troppo lontane, anzi… Cazzo sono, squali? 4, 5 squali lì vicino? No, sono delfini! Capito, a fare il bagno nel Pacifico, a pochi metri dai delfini coi pellicani che si tuffano in picchiata! Che soddisfazione, cazzo!!

Stanchi per le onde e l’euforia, ci buttiamo sulla spiaggia, con gli asciumani appena comprati, di qualità infima. Io crollo appena tocco terra, black out, buio totale, dormo secco sotto il sole della California, rinfrescato da una leggera brezza. Sonno profondissimo e senza sogni, starei così per tutto il giorno, se non fosse per… brusco risveglio, acqua acqua, la nave affonda! Cazzo, un’onda più grande delle altre ci ha raggiunti, io ho i riflessi rallentati dal sonno e il braccio destro completamente addormantato, tanto che il primo tentativo di rialzarmi facendo forza sul destro fallisce miseramente. Niente, zuppo  e insabbiato, mi sposto su di qualche metro, stendo le robe sulla sabbia e riprendo a ronfare.

Alle 18 ci scade il parcheggio, quindi ci rimettiamo in auto e ci spostiamo verso Malibù, giusto in tempo per il tramonto sulla State Lagoon Beach. Ci sono un sacco di villette in riva al mare, qui la gente coi quattrini sa come godersi la vita. La spiaggia è della stessa sabbia sottile di Venice, ma è più stretta, compresa tra l’oceano e una laguna che ospita numerose specie di volatili, dai soliti pellicani ad altri che non saprei identificare. Per fortuna Penny ha portato il frisbie, giochiamo fino allo stremo delle forze. Il sole va giù, l’aria si rinfresca, è fantastico. Se ci fosse un fuocherello acceso, o se almeno gli asciugmani asciugassero, tenterei un bagno. Cazzo quanto amo il mare, lasciatemi qui!

Purtroppo la migrazione massiccia di tutti gli abitanti pennuti della laguna ci dà il segnale, è ora di rimettersi in moto, direzione: aeroporto. Siamo puntualissimi, ma l’aeroporto è inospitale. Ci costringe ad un saluto precoce, e noi che speravamo di poter cenare almeno insieme, ma è tutto oltre la linea degli imbarchi, quindi ci salutiamo nell’atrio. Strette di mani e abbracci virili, raccomandazioni e reciproci incoraggiamenti… seguiamo Marco per un po’ con lo sguardo, che scena struggente. Marco che parte, il viaggio prende un’altra piega, ci manca già, è stato un compagno di viaggio insostituibile. La sua partenza ci ricorda anche che il nostro girovagare vira decisamente verso la fine, anche se ci sono ancora un sacco di cosa da fare!

Già stasera, che dobbiamo almeno riuscire ad uscire dal parcheggio dell’aeroporto prima di domani e vedere la scritta Hollywood, prima di dirigerci al motel e chiudere gli occhi su questa giornata intensissima, vera e propria chiave di volta della vacanza.

p.s: cosa voglia dire “xing” mi è venuto in mente solo stamattina, è dal 30 che lo vedo scritto sui cartelli…

‘nuff said