Ok, si parte con la serie di post riassuntivi del weekend estenuante che ho trascorso nel Golden Triangle, visitando prima Jaipur e poi Agra. Riposo: zero. Monumenti e viste mozzafiato: tante. Soprattutto: traversate in auto, cammelli e vacche.

Avrei voluto corredare questi post con immagini e fotografie fighe, ma ho scattato con la reflex digitale e non ho con me il Mac. Vi dovrete accontentare delle foto in versione “beta”, ottenute con RawTherapee portable applicando in batch i livelli automatici e un minimo di tone mapping, nonché una pesante riduzione della dimensione delle immagini.

Quindi mi scuso sin da ora per la qualità pessima delle foto. Recupero al ritorno. Forse

Comunque ho scattato circa 500 foto. La metà di default viene buttata via perché doppione. La metà della metà viene buttata via dopo analisi superficiale. Un’altra metà dopo un’analisi approfondita. Ancora un’altra metà butta via perché si poteva fare di meglio. L’obiettivo è scendere a 36 foto, come nei vecchi rullini, di più non ha alcun senso. Quando le foto saranno pronte, i post verranno aggiornati con le foto più belle. Forse.

Ok, Si parte.

Venerdì mi sono svegliato prima del solito, dopo aver dormito ancora meno del solito. Non so cos’è, c’è qualcosa nella mia testa, c’è sempre qualcosa che gocciola, plic ploc plic ploc, fa l’eco nella mia testa vuota, non sono nemmeno poi tanto sicuro che sia un suono reale… Dormire bene è la cosa più difficile che mi capita di fare qui. Trovo molto più facile sopravvivere al fuoco infernale della giravolta di spezie accese che mi sorbisco quotidianamente, 3 volte al giorno, perché una colazione non speziata non è una vera colazione.

Il collega Wally è passato dal mio albergo, ha lasciato la sua valigia nella mia stanza dato che da domenica cambia hotel e si trasferisce dove sto io (che costa 1/3 e ci vogliono 6 minuti di auto per arrivare in ufficio invece che 45). C’è stato un minimo di incomprensione con il suo autista (quello che mercoledì si è perso nel portarci al pub), ma alla fine siamo riusciti a raggiungere l’ufficio insieme.

In ufficio abbiamo lavorato 6 ore circa, il venerdì mi mette sempre un po’ d’ansia per via di tutte le scadenze che si accumulano, e questo non è stato da meno. Tra l’altro ho smesso di lavorare quando più o meno in Italia si comincia, la cosa mi ha messo ancora più preoccupazione.

Alle 14 il collega NoIssue ci stampa due copie delle pagine di Wikipedia su Jaipur e su Agra. Per la prima volta nella mia vita vedo una copia cartacea di wikipedia, mi ricorda i tempi delle ricerche fatte col copia e incolla dall’enciclopedia Encarta, chissà se esiste ancora.

Alle 15 siamo in auto: io, NoIssue, Wally e l’autista di Wally, che è la versione indiana (e matta) di Giancarlo Giannini in “Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto” ma pettinato meglio e coi baffi a manubrio.

Giancarlosh, il nostro autista

Giancarlosh, il nostro autista

Giancarlosh è il tipico autista di taxi turistici noleggiati a lungo termine: ha una conoscenza dell’inglese vaga e generalizzata, quel tanto che basta per farsi comprendere e per scambiare qualche frase di circostanza, guida con la pazienza di Buddha e la destrezza di un macchinista di bulldozer una Toyota Innova grigia, con interni beige e marroni antimacchia (nel senso che le macchie si camuffano), è sempre molto gentile e cortese e chiede mille volte come va, se è tutto ok, se siamo felici di lui e della sua guida, si lancia in conversazioni altissime e poi chiede se siamo contenti dei suoi discorsi, fa tutto ciò suonando il clacson ogni 3 secondi e imprecando in Hindi.

La cosa buffa di Giancarlosh è che ha sempre il sorriso sulla faccia. Lo svegli nel cuore del sonno per portarti in giro, sorride. NoIssue lo insulta perché non sa guidare, sorride ed è felice. Lo metti sotto con un camion pieno di letame: è felice e sorridente. Giancarlosh, qual è il tuo segreto? L’altra cosa interessante è che non si cura minimamente delle mance, è soddisfatto solo e soltanto se noi siamo felici e soddisfatti di lui, della sua guida (no, ma ti dico di sì) e della sua abilità oratoria. Ogni volta che arriviamo in un posto vuole che ci facciamo delle foto insieme, con il suo cellulare, così che possa ricordare quei bellissimi giorni passati insieme. Ogni giorno ci stringe la mano almeno 16 volte, ad ogni sosta e ad ogni ripartenza.

Poi la cosa più assurda, per noi occidentali. Non so se lo sapete, ma in India è prassi alquanto comune per gli uomini andare in giro mano nella mano o sedersi uno in braccio all’altro, un po’ come da noi le ragazzine durante il liceo. Viene considerato un gesto perfettamente normale, una manifestazione di amicizia e affetto fraterno tra uomini. Con le donne non si può fare. Ora, la prima volta che l’ho visto, sono rimasto colpito! Wow, ho pensato, guarda come sono avanti qui, non come da noi, qui le coppie omosessuali possono tranquillamente circolare mano nella mano alla luce del sole. Poi mi hanno spiegato come stavano le cose e mi sono vergognato di aver chiesto 😀 Ecco Giancarlosh vuole così tanto esserci amico che è capitato che scendendo dalla macchina mi abbia preso per mano e portato a spasso fino alla destinazione. Non so come descrivere la sensazione.

Detto ciò, una cosa su cui Giancarlosh non è certamente bravo è la guida: ok, lo stile di guida in India mediamente non è buono, un po’ per la condizione delle strade, un po’ perché gli indiani hanno scelto di non seguire la segnaletica orizzontale (che è solo estetica) e occupano corsie a caso, a volte inventate, sulla strada. Questo costringe ad un continuo zig zag nel traffico, e ad una guida a scatti che rende estenuante ogni tipo di viaggio. Ho pensato, prenderemo l’autostrada, non sarà certamente così male. Anche se Giancarlosh ha un approccio binario al pedale del freno (o non frena o frena tutto a massima potenza all’improvviso), sono sicuro che in autostrada non ci sarà bisogno di frenare così tanto. Certo, come no.

L’autostrada che da Delhi va a Jaipur ha un bel manto stradale, almeno per la maggior parte del tragitto. Si tratta di circa 230 km, una distanza che in Italia si può coprire tranquillamente in 2 ore, 2 ore e mezza andando piano. Noi ce ne abbiamo messe 5. Perché? Per vari motivi. Intanto le autostrade indiane, almeno quelle che abbiamo percorso noi, non hanno le rampe di ingresso e uscita, ma incroci a raso, ricavati abbattendo lo spartitraffico e ricoprendo con un cumulo di terra. Questo significa che ogni 10 km circa c’è qualche macchina che tenta l’inversione di senso di marcia o che si deve lanciare in un autogrill o, come li chiamano qui, “midways”. Mid way to where? Unknown. Quindi dalla velocità di crociera di 100 km/h scarsi, ci si deve arrestare per far evitare lo scontro frontale. Come se non bastasse questo, ai bordi dell’autostrada sono presenti piccoli accampamenti e agglomerati agricoli, quindi ci sono persone che letteralmente si lanciano a piedi in mezzo all’autostrada o, peggio, decidono di immettersi nel traffico con un carretto trainato da dromedari. In più, ogni tot chilometri ci sono barriere mobili per il rallentamento in corrispondenza di agglomerati un po’ più popolosi, o dei vari spiazzi presenti per la manutenzione dei camion e delle automobili. In questi spiazzi a bordo autostrada ci sono catene di montaggio e smontaggio umane, che provvedono alla sostituzione di ruote, alla saldatura di cassoni o allo smontaggio di cabine di camion troppo malconce per essere riparate. Queste cabine vengono riconvertite a posto letto o a prive’ da bar a seconda dello stato di conservazione.

Chiaramente gli ostacoli non finiscono qui, c’è il normale traffico: camion lentissimi buttati a caso nel mezzo delle corsie, non è infrequente trovarsi attorniati da camion su ogni lato nelle parti a 3 corsie; trattori minuscoli che trasportano enormi carrelli con sacchi enormi larghi più di una corsia e alti più di un camion con dentro prodotti agricoli e persone in cima; moto 98cc lente come non mai e sparse negli interstizi tra camion e auto, tuk tuk (i taxi a 3 ruote) e gente contromano. Vacche, caselli e dossi rallentatori alti mezzo metro e in rapida sequenza completano il quadro.

Giancarlosh affronta tutto ciò con il sorriso in volto, radioso. Si lancia ai cento orari sulla corsia di destra, quella vicino allo spartitraffico (qui si guida come in UK) e che dovrebbe essere la corsia di sorpasso, frena a stampo a 2 cm dal camion di fronte, si lancia tra il camion di fronte e quello che sopraggiunge da sinistra, suonando il clacson all’impazzata, fa il pelo alle moto cariche con almeno 3 persone più pargoli, e che non si spostano manco se le investi, perché qui sono tutti tranquilli e se devono morire in strada è la ruota della vita e nella prossima si rinasce addetto dell’ANAS, e poi schiaccia a fondo l’acceleratore senza scalare, con il motore imballato, fumo nero di morte polmonare, vibrazioni funeste che riverberano per tutto l’abitacolo, e di nuovo a cento fino al prossimo ostacolo, tra due metri. Qualche volta ho pensato che Giancarlosh ci avesse lasciato una ruota, o di morire al ralenti in una scena splatter di carne di mucca, cammello, carretto, Hero 98cc, braccia, gambe, turbanti e seta. Niente di tutto questo, solo un diffuso malessere. Posso comunque certamente affermare che ho superato del tutto il mal d’auto. E che la cosa più pericolosa da fare in India è viaggiare in autostrada.

Durante 2 di queste 5 ore ho dormito, pesantemente. Per il resto ho guardato il paesaggio cambiare più volte, ho avuto modo di osservare da vicino le vacche indiane con la gobba, ovvero gli Zebù, che rispetto alle nostre vacche hanno orecchie molto grandi, corna lunghe ed arcuate, ed appunto una gobba molto sviluppata, proprio all’altezza delle spalle delle zampe anteriori, spesso “muschiata”, che conferisce a questi pacifici bovini autostradali un aspetto minaccioso ed inquietante. Qualche gregge di capre qua e là, scimmie nei pressi dei cantieri autostradali, dromedari sorridenti che trasportano carretti e, proprio all’ingresso dell’antica città di Amer (o Amber), una coppia di elefanti addobbati.

Elefante Reale, nel senso di Regale

Elefante Reale, nel senso di Regale

Per gli elefanti ci siamo fermati a scattare qualche foto e il collega NoIssue ci ha ricordato che gli elefanti portano bene e che questo avvistamento è la prova che il nostro viaggio andrà benissimo e sarà un successo. Penso alla mia side mission per questa trasferta: riuscirò a portarla a termine? Giancarlosh si fa un selfie con Wally e gli elefanti, si riparte. Abbiamo giusto il tempo di scorgere l’Amber Fort, il Water Palace e il Wind Palace da visitare sabato. Alle 20 circa siamo all’albergo, il Golden Tulip, appena fuori da Jaipur vecchia, il cui logo è un carciofo dorato. Un attimo appena per lasciare giù i bagagli e accorgerci che il soffitto nei corridoi è troppo basso (meno di 2 metri…) e siamo di nuovo in auto, diretti verso il Chokhi Dhani.

Che cos’è il Chocki Dhani? Un posto di merda per turisti idioti. No, davvero. Per scendere più nel dettaglio, Chocki Dhani è un parco tematico triste che dovrebbe dare al turista di passaggio un’idea distorta, confusa e deprimente dello stato del Rajastan. Se a Gardaland ci fosse tra le attrazioni a tema il villaggio rajastano, sarebbe meglio di questo parco.

restaurent: cibo in affitto?

Restaurent: cibo in affitto?

Nel mezzo della sabbia si ergono mini villaggi, capanne finte, tavolini, robe di plastica e amache in cui il mago triste fa il trucco della sparizione delle monete, la bambina sfruttata e stanca fa la contorsionista, il mangiafuoco depresso ingoia cherosene per dimenticare, i musicisti esauriti suonano la stessa nenia da 42 ore su strumenti logori. Ad aggravare il tutto i cartelli con su scritto “Don’t encourage tips” e gli “artisti” che chiedono costantemente mance. Fortunatamente è buio e la luce fioca di candele e lampade a petrolio ci impedisce di cogliere i dettagli di questo parco tematico triste. C’è anche una stalla con vacche vere, l’unica cosa vagamente interessante.

La stalla

NoIssue mi spiega che la cacca di vacca viene raccolta e foggiata a mo’ di piadina, essiccata e poi usata come combustibile per cucinare. Mi dice che la roba cucinata col fuoco di cacca di vacca è molto più buona, e io ci credo. Tra le aree più tristi c’è il tiro a segno senza premi: paghi un prezzo ridicolo (5 INR, cioè circa 6 centesimi di euro) per sparare col fucile a pallini, per lanciare le freccette, tirare con l’arco e le frecce o per far centro con gli anelli, e l’unica cosa in palio è la soddisfazione personale di aver fatto centro. Fail. C’è anche una grotta finta con dentro un santone di plastica, e fuori un dinosauro brutto con un megafono in bocca. Perché?

topolino gioca a cricket: perché?

topolino gioca a cricket: perché?

Dinosauro di plastica: perché?

Dinosauro di plastica: perché?

Santone di plastica in grotta finta: perché?

Santone di plastica in grotta finta: perché?

Volendo si può fare il giro con dromedario ed elefante, ma è tardi e abbiamo fame, andiamo a mangiare. Coda di 30 minuti per entrare al ristorante, morale sotto le scarpe.

Proprio le scarpe ci fanno togliere, all’ingresso del ristorante, e Wally è preoccupato perché ha i piedi sensibili! Ci dirigiamo alla zona dei tavolini, dove si mangia seduti a gambe incrociate per terra. Wally che è alto quasi 2 metri e pesa un 130 kg abbondanti, ha serie difficoltà a posizionarsi nel posto, e non è in grado di incrociare le gambe. Alle 22 cominciano a servirci una serie di zuppe, zuppette e robaccia varia in piatti e scodelle fatti di foglie essiccate. Mangio poco di tutto, per assaggiare, ed è comunque troppo.

La cena: roba piccantissima, altra roba, roba liquida acida, roba speziata, burro, riso, roba dolce

La cena: roba piccantissima, altra roba, roba liquida acida, roba speziata, burro, riso, roba dolce, il piede di Wally

Il mio stomaco si perde nel guazzabuglio di dolce, dolcissimo, salato, burroso, piccantissimo, speziato, acido. Non sa cosa sta accadendo. Alle 22.30, dopo alcune foto di rito, siamo fuori da questo posto di merda. Sulla via per l’albergo lasciamo NoIssue per strada, va a dormire dai suoi.

A mezzanotte scopro che lo scarico della doccia fa plic ploc plic ploc plic ploc e voglio morire. Intruppo lo scarico di asciugamani e cerco di dormire, lottando con i rumori provenienti da dentro le pareti, probabilmente qualcuno abita i canali dell’aria condizionata, e dalla stanza accanto alla mia dove una dolce famigliola ha deciso che è l’ora giusta per cantare tutti insieme.

E per oggi è ’nuff said!