Stamattina è cominciata nel migliore dei modi: in poltrona nella sala d’attesa del motel 6 a bere caffè americano e leggere un libro. Accanto a me un simpatico signore di colore che attacca bottone perché vuol sapere che lingua parliamo io e gli altri “Italian!” “oh, very smooth… sounds like french”. Ovviamente mi ha chiesto cosa ci facevo negli USA e gli ho spiegato del coast to coast. Mi ha fatto i complimenti e mi ha detto che viaggiare è importante, perché lui a Parigi ha potuto vedere il suo idolo in carne ed ossa: Mikey Mouse. Per lui è stata davvero un’esperienza emozionante vedere il suo eroe dal vivo, proprio di fronte a lui… ok… un buon inizio.

Il viaggio per Philadelphia procede senza intoppi, metà del quale avviene su un omologo all’americana del nostro viale Fulvio Testi, solo che qui passa attraverso gli stati. Procediamo alla solita velocità di 55 miglia orarie, che ti fa proprio cadere le palle. Tra l’altro siamo gli unici a rispettarla e qualche camionista indispettito ci sorpassa (a destra, che qui si può) guardandoci malissimo. Ma nessuno si accorge degli sguardi, basta già l’imponenza del mezzo. I veicolo a stelle e strisce meriterebbero un post a parte, dedicato tutto a questi mostri su ruote che popolano l’asfalto americano, a volte attraversato da qualche rarissimaa bellezza italiana col biscione sul cofano.

Comunque in poco tempo raggiungiamo l’area di Philadelphia e l’impatto con Philly è fantastico: già dall’autostrada cominciamo a fotografare lo skyline, fatto di grattacieli stile “Hotel” il gioco in scatola. All’ottantesimo scatto otteniamo una foto decente. L’arrivo in città è ancora meglio, ci troviamo in mezzo a palazzoni di vetro e di fronte all’imponente municipio, che è la più alta costruzione in muratura del mondo realizzata senza una struttura interna metallica. Al centro c’è anche un cesso pubblico che suona mentre fai la cacca, almeno così è scritto nella guida. Al solito, la parte difficile è trovare parcheggio, ma risolviamo con 12 $ per tutto il giorno un po’ in periferia. Bene, affrontiamo la città!

Philly è la prima grande città americana che vediamo, questo ci spiazza un po’: passare dalla 15th alla 6th per trovare il centro informazioni turistico è un’impresa più ardua del previsto, anche perché fa caldo ed è umidiccio. L’ufficio informazioni non è che sia così utile, decidiamo quindi di proseguire su market street verso uno dei due fiumi entro cui è racchiusa la città. Purtroppo abbiamo scelto quello sbagliato, a quella estremità della città non c’è nulla. Poco male, torniamo indietro in metro!

La metro a Philly va a gettoni, come l’autoscontro. Un giro un gettone, se prendi la coda del pupazzo appeso fuori vinci un altro giro. Scendiamo all’11th e andiamo al Reading Terminal Market, un mercato coperto enorme e pieno di cibo. Tra odori discordanti e cibi stravaganti ci piazziamo un pranzo record, chi va di panino con salamella e peperoni, chi di self service come ieri, ma sta volta in modo più oculato. Io colgo anche l’occasione per assegnarmi la medaglia di primo unto della vacanza.

Dopo pranzo visita a Chinatown: se il centro di Philly è pulito ed ordinato, basta passare dal quadrato di Chinatown per vedere tutto stravolto, sporco, incasinato e abbastanza puzzolente. Via, usciamo di qua, la vista di granchi schiumanti in cestini all’aperto e di pesci morti sul fondo degli acquari di uno dei 100 migliori ristoranti cinesi degli USA ci convince a dirigerci al municipio e saliamo in cima per vedere la città. Ma prima non vogliamo fare un po’ di spesa? Ci buttiamo in un centro commerciale molto più grande del previsto, dove c’è tutto e nulla. Compriamo 24 bottiglie da mezzo litro d’acqua, da dividere in 3 zaini… il carico si fa pesante.

Al municipio è tutto chiuso, è lunedì! Sfigati! Decidiamo di dirigerci verso i giardini dell’indipendenza, o quel che è. Ogni 20 metri c’è qualcosa da fotografare. Anche qualcuno, ad esempio la bella biondina per la scommessa con Pritti. Penni si lancia in missione, con una mossa camuffatissima scatta da dietro la schiena, la prova fotografica conferma: sì, ti hanno sgamato di brutto! E la foto è pure mossa. Vabbè, mettiamoci in marcia!

Quello che sulla cartina sembra vicino, in realtà è mooolto lontano. Philadelphia è bellissima, un po’ Gotham City, però proprio bella e culturalmente attivissima. Peccato che sia enorme, con la classica pianta a scacchiera delle città costruite dove c’è troppo spazio, La marcia eterna verso i giardini, con Marco che continua a grattarsi per via del troppo sole preso sulle coste oceaniche, subisce l’interruzione definitiva quando ci troviamo di fronte a… LA SCALINATA DI ROCKY! Foto, video, musichetta e relax. Prima di rimetterci in marcia verso l’auto!

Stavolta cambiam strada e seguiamo la ciclabile che costeggia il fiume, cosa che ci permette di osservare da vicino wacchelle locali, manzi palestrati, ragazze che fanno ginnastica in mezzo al parco col così detto “culo a ponte” e altre stranezze, come il distinto signore in giacca e cravatta, caschetto, elastici sui pantaloni di colore sgargiante e bicicletta pieghevole di dimensioni ridicole.

Lontano dal centro le case si abbassano sempre di più, e la città sembra costruita tutta nello stesso modo, interi quartieri con edifici in mattoni rossi pieni a vista, tenuti insieme dal tipico formaggio spalmabile bianco famoso anche da noi, che infatti porta il nome della città.

Arrivati all’auto consultiamo la mappa per vedere dove procurarci una cena tipica. Sembra che all’incrocio della 9th con qualcos’altro ci siano, ai vertici opposti dell’incrocio, due take away concorrenti che si fanno una guerra secolare per chi produce il miglior “cheese steak” di tutta Philadelphia. Ok, andiamoci a piedi, ci vorranno 10-15 minuti. Ovvero almeno 30. Facciamo 40 dai.

Comunque felicissimi di percorrere a piedi South street perché la città inizia a cambiare del tutto, la trasformazione è graduale ma sensibile. C’è pure un “magic garden”, una casa artistica tutta decorata con bottiglie colorate, specchietti, ferro battuto e altri materiali di riciclo.

Ma la 9th ci regala di meglio, siamo in un’altra città, decisamente. Philadelphia di periferia lascia il posto al mercato italiano che, senza soluzione di continuità, diventa il quartiere malfamato portoricano. Proprio qui ci sono Geno e Pat’s, i due take away concorrenti. Decidiamo di provare entrambe le “cheese steak”, giusto per non farci mancare nulla e per entrare nello spirito americano: colesterolo a bomba e fegato che grida aiuto, posso sentirlo nonostante lo strato di adipe accumulato! Passa anche una banda di mafiosetti locali, con tanto di Mercury Grand Marquis (che è la nostra auto) con cerchioni enormi e sistema di molle pneumatiche per farla saltare a tempo di musica. Un bello spaccato della stratificazione sociale americana.

Nulla da dire, Philadelphia ha regalato grandi camminate, una serie di viste spettacolari, una moltitudine di quartieri caratteristici e diversi spunti per commenti sessuali di bassa lega. A Lisa staran fischiando le orecchie (e non solo quelle).

‘nuff said