Penso che prima o poi lo passano tutti i blogger non professionisti, quel periodo di progressivo allontanamento dalla scrittura online e momentaneo disinteresse dalle tematiche una volta care.

Dall’avvento del social network e dalla conseguente maggiore attenzione/disattenzione alla privacy, i blog di natura personale hanno perso completamente senso. Se ti senti qualcosa dentro o te lo tieni lì, o lo scrivi su facebook o su google+. Alcuni a torto (secondo me) lo twittano, i più audaci si danno al microblogging, da Tumblr a Scriptogr.am (per i più estremisti).

Per chi invece vuole occuparsi di informazione o di una tematica particolare, le cose sono due: o si è un professionista del blogging (meglio se in team), oppure si deve avere una passione sfrenata verso la tematica di cui si scrive tanto da poterci dedicare tutto il tempo libero disponibile.

Ecco io una volta ero così: gli anni d’oro vedevano una media di almeno un paio di post alla settimana, record mai più avvicinato da qualche anno ormai.  La mia passione per la teNNoloGGia si è forse spenta? Nì. Sono certamente diventato più utente e meno “avventuriero”. Ho sicuramente meno tempo per occuparmi di scoprire tutti i più misteriosi segreti dell’OS o i nuovi sofware appena sfornati: c’è chi sul web è molto ma molto più organizzato di me, più rapido e più sistematico.

Anche mettersi a fare delle recensioni su prodotti hardware: che senso ha? 3 giorni prima di poter acquistare il prodotto c’è già qualcuno che ha fatto un “unboxing”, un “teardown” e una relativa recensione. Dopo una settimana il prodotto del momento ha ricevuto almeno una vagonata lunga di recensioni da tutti i principali siti specifici del settore, da quelli che di striscio parlano di quelle robe, dalle versioni online dei quotidiani cartacea, dalle versioni cartacee delle cartestracce online, dai translatoristi, dai forumisti, dai ritwittatori folli. In tanta confusione, mille recensioni sono uguali a zero recensioni, la media è nulla.
In più c’è da dire che non compro un prodotto Apple dal 2010. DAL.DUE.MILA.DIECI. Ovvero, più di 3 anni fa.

Anche il mio utilizzo del Mac è parecchio cambiato. In pratica, sto cercando di distaccarmi il più possibile da software specifici per la piattaforma almeno per le operazioni quotidiane. Per contropartita, sto diventando google-centrico, Google Calendar è una delle cose più importanti per me. Sul Mac non apro nemmeno più iCal o Mail, tutto da browser, ovviamente da Chrome. Questo perché ho le password e i preferiti del browser sincronizzati ovunque, anche su dispositivi non OS X/iOS come ad esempio il mio Galaxy Nexus, il mio Nexus 7 2013, il PC dell’ufficio (non si sa mai) e così via.

Adesso ho anche un Rasberry Pi (mi raccomando: Pi si pronuncia pai!) completamente istruito per effettuare automaticamente tutta una serie di operazioni: una volta appiccicato alla rete e alla corrente mi sono dimenticato della sua esistenza, in compenso nel silenzio  e nell’ombra svolge diligentemente tutti i suoi compiti. Ci manca solo che si guardi le serie TV per me ed ecco che avrò raggiunto il nirvana mediatico.

Le uniche due operazioni che svolgo per ora solo ed esclusivamente sul mio Mac sono:

  • Postproduzione dei miei scatti digitali, senza molta costanza
  • Scrittura di un prototipo di romanzaccio, senza alcuna costanza (purtroppo!)

Per la seconda operazione ho deciso di scrivere tutto in Markdown. Perché? Perché è il Markdown è semplicissimo, senza fronzoli e multipiattaforma. Infatti l’obiettivo è comunque raggiungere il distacco da tutti i desideri applecentrici ed essere finalmente indipendente da qualsiasi OS.

Il Markdown è perfetto per questo, voglio dire, uno potrebbe scrivere un documento in Markdown sulla macchina da scrivere su veri fogli di antica carta e una volta scannerizzato e OCRizzato potrebbe benissimo tirarci fuori senza sforzo alcuno un elegantissimo ebook o un .pdf da mandare ad un editore per una pubblicazione cartacea. Il Markdown è libertà d’espressione, ora lo so.

Per scrivere in Markdown basta un qualunque editor di testo semplice, come ad esempio TextEdit, Notepad, Nano, Pico, Vi. Non è necessario che il software gestisca la formattazione, anzi è molto meglio se questa funzione è assente o disabilitata. Siccome fin dal principio dei tempi qualunque computer con una tastiera ed uno schermo grafico può essere utilizzato per scrivere dei semplici testi, volendo potrei riesumare il vecchio Macintosh Classic e mettermi a scrivere lì, se solo riuscissi ad abituarmi alla tastiera QZERTY e a recuperare qualche floppy! 🙂

In realtà siccome sono pigro ho deciso di usare principalmente il MBP e di installare un software apposito per la scrittura in Markdown, ovvero uno che abbia almeno la preview del testo. La mia scelta è caduta su Mou che ha tante interessanti opzioni, come ad esempio la possibilità di specificare un foglio di stile (CSS) per l’esportazione e la capacità di esportare il foglio markdown in vari formati (esempio: PDF) che a sua volta possono essere dati in pasto a Calibre  per la trasformazione in altri formati di pubblicazione elettronica. Anche Calibre è multipiattaforma. E siccome non basta, probabilmente installerò Calibre e MultiMarkdown sul Raspberry Pi in modo da automatizzare tutto il processo. Se riesco, istruirò il RasPi anche a scrivere il romanzo per me.

In ottica emancipazione, una buona alternativa a Mou è l’applicazione per Chrome StackEdit. Ma in realtà, come già detto, basta un qualsiasi editor di testo e la possibilità di salvare sul cloud per avere l’effetto desiderato. Motivo per cui sul Nexus 7 mi sono attrezzato con Droid Edit e l’account Dropbox. E ovviamente prima o poi arriverà una tastiera bluetooth 🙂

Alla fine della favola, morale della fiera: si è rinnovata in me la passione per la scrittura. Si è riaccesa anche una fiammella collaterale di interesse verso gli strumenti e le tecnologie utili alla videoscrittura e alla possibile e-pubblicazione. Aspettatevi altri post sulle meraviglie del Markdown. E del Raspberry Pi.

 

’nuff said