Natura, natura a nastro. Come potrei dire altrimenti? Stamattina, dopo l’abbondante e super glicemica colazione fatta al Courtesy Inn, siamo andati a vedere gli elefanti marini. Infatti a Las Pietras Blanca, a pochi km dal nostro motel a San Simeon, c’è una spiaggia su cui si ritrovano questi mammiferi acquatici di dimensioni ragguardevoli.

Gli elefanti marini devono il loro nome al fatto che il maschio, di dimensioni molto maggiori della femmina, ha sul muso una sorta di tozza proboscide. Fa un certo effetto uscire dalla strada, affacciarsi alla balaustra e trovarsi a pochi metri da questi abitanti del mare. A parte la proboscide e le pinne, gli elefanti marini sono dei tozzi tubi di ciccia, esattamente come le foche e le altre bestie simili. Se li vedi a terra sono goffi, fanno una fatica a risalir la spiaggia, come dei vermoni, ma in acqua devono essere dei siluri.

Comunque la vita degli elefanti marini è molto interessante, pure io vorrei adottare il loro stile di vita. Per la maggior parte del tempo se ne stanno in mare, poi due volte all’anno si spiaggiano, fanno la muta, i maschi adutli fanno un po’ i bulli, pigliandosi a cazzotti e morsi, poi trombano e infine dormono. Dormono, ma di un sonno bello profondo. Buttati lì, come sacchi di carne, se la ronfano tranquilli, spaparanzati. Ogni tanto si buttano un po’ di sabbia sulla schiena, per proteggersi dal sole, ma per il resto stanno immobili e dormono. Che figata. E poi sembra siano dotati di un enorme pene. La prossima vita voglio essere elefante marino.

Dopo la visione effetto tranquillante degli elefanti marini, ci mettiamo in viaggio verso il Julia Pfeifer Sarcazzo Park. Io, prendendo spunto dai grossi animali acquatici, schiaccio un pisolino fino all’arrivo. Il Julia Pfeifer Park, o come si chiama, sorge su un terreno una volta posseduto da una ricca coppia di latifondisti o quel che è. C’era pure una casa, la loro casa, che si affacciava su un panorama incredibile. La casa l’hanno demolita, il panorama c’è ancora. L’attrazione del parco è una caletta, non raggiungibile se non dall’acqua, incastonata nella scogliera e ornata da una bella cascatella. Un ruscello attraversa la montagna e poi sbocca direttamente in mare facendo un salto di una ventina di metri. È bellissimo, unoi ci potrebbe vivere laggiù: già mi vedo con la capanna, a fare il bagno nell’oceano e la doccia sotto la cascata… che figata!

Qualche miglio dopo il parco c’è un’altra caletta, stavolta molto piccola e rocciosa, raggiungibile da un sentiero scosceso, a piedi. Quando arriviamo c’è un po’ di gente, non tanta, ma io trovo il mio scoglio, mi ci inerpico su e lì mi fermo a contemplare lo spettacolo. La nebbia salina, formata dall’impetuoso infrangersi delle onde sugli scogli, contribuisce a dare un’atmosfera eterea, come di cose visibili al limite del dormiveglia.

Anche qui c’è un torrente che sfocia in mare, senza cascata, semplicemente finisce dove comincia l’oceano. Immergo le mani e mi bagno la nuca, mi lascio battezzare dalla natura, sperando mi apra le porte del mondo magico della vita, degli spiriti dentro gli alberi e i pesci. Niente, le uniche porte che apro son quelle dell’Ammiraglia Lisa Chinaire Lisette Grey. C’è un condor della California a farci compagnia volteggiando sulle nostre teste.

Cambiamo parco, un altro che si chiama Pfeifer qualcosa, qui ci sono altre cascate da andar a vedere, seguendo un sentiero all’ombra delle sequoie. Le cascatelle son proprio ridicole, però la camminata è stata piacevole. È ora di spostarci nuovamente in un altro parco.

Raggiungiamo l’Andrew Nonmiricordocosa State Park, molliamo tutto in auto, recuperiamo i costumi e ci mettiamo in marcia verso la spiaggia. Anche qui c’è un bel sentiero e c’è da passare su un fiumiciattolo, con un ponte che sta al pelo dell’acqua. Si tratta di fare un miglio circa su un sentierino sterrato, circondato da sterpaglie e poi, più avanti, da alberelli bassi che fan da pergolato. Io sto in testa, cammino tranquillo pensando ai fatti miei, il cielo è sereno, ogni tanto l’ombra di un uccellaccio del malaugurio. Giro l’angolo e… “oh ragazzi, serpentone a sonagli”. Detto così, senza inflessione o stupore, è del tutto normale che lì ci sia un serpentone a sonagli che ci guarda, bello tranquillo e raggomitolato. Certo che qui negli USA hanno proprio distribuito natura selvaggia in ogni angolo!

Quando arriviamo alla fine del sentiero, stando attenti ad ogni singolo rumore proveniente dal sottobosco, lo spettacolo dell’oceano contro la spiaggia ci si apre impprovvisamente davanti agli occhi. È la spiaggia di Lost, con i residui degli accampamenti di C’è un vento fortissimo, solleva la sabbia e la spiana bella liscia, lasciando qua e là qualche rughetta. La sabbia è super fine, vicino alle rocce si possono vedere i turbini sollevati dal vento che va a sbattere contro le superfici frastagliate. Lontanissimo, dove la spiaggia si perde nella nebbia della schiuma, colonia di gabbiani.

Io trovo il mio scoglio: è lì, solo soletto, tra in bagnasciuga e il mare. Per non bagnarmi le scarpe devo calcolare il momento esatto di quando parte la risacca e studiare bene come salire. Più facile del previsto, ma la mancata fatica nulla toglie alla soddisfazione della conquista dell’eremo e, soprattutto, alla vista che ne deriva. Il vento è frote ed è difficile stare in piedi, davanti a me l’oceano sconfinato, dietro la spiaggia lunghissima e la scogliera a picco. Sopra, gabbiani fermi nell’aria, veramente vicini.

Ok, ora, davanti a tutto ciò, sinceramente: a cosa serve la civiltà? Non potevamo fermarci qui, semplicemente meravigliati da ciò che ci offre madre natura, invece che inventare i vestiti, le scarpe, gli aerei, le case in muratura? Torniamo allo stato di natura, qui ci sarebbe di che vivere in abbondanza! Questi pensieri me li porto dietro per tutta la lunghissima passeggiata sulla spiaggia, prima a favore di vento, poi fottutamente contro vento. Quando più rocce son vicine e il passaggio si fa stretto, il vento accelera improvvisamente, poi allo sbocco l’espansione istantanea e lo strato limite fanno nascere vortici nei pressi delle pareti, che si traducono in: sabbia negli occhi.

Bello però, tutto strafigo. Il serpente, la spiaggia, lo scoglio, il vento. Bellissimo. Però è ora di andare. Tentiamo la deviazione per la strada nota come “17 miles” che passa lungo la costa, attraversando Bebble Beach, ma è tardi ed è già chiusa. Ci fiondiamo in un Super 8 con colazione inclusa a 88.50 $, l’indiana (indianda dell’India) alla reception ci indica anche un “all you can eat” qui vicino, però è un ristorante cinese… vediamo, intanto doccia.

‘nuff said