Pronti? Si va alla città omonima della “mossa Kansas City”. Se non sapete cos’è la mossa Kansas City andate a (ri)vedervi Slevin – Patto criminale, che è pure un bel film.

Prima di tutto, però, colazione da campioni al parcheggio di un mostruoso Wal Mart. Io mi sparo la mia miscela collaudata: noci, chicchi di caffè, corn flakes alle fibre e yogurt Fage 0% grassi, poi pesca e si parte.

Alle 13 siamo a Kansas City, al parcheggio dello stabilimento dell’Harley-Davidson. Non fa caldo, noooo… appena! 103°F che in sistema internazionale vuol dire 312.6 K circa più o meno quasi. In °C non ve lo dico, usate Google. Insomma un caldo porco, più secco di ieri, ma comunque caldissimo.

Allo stabilimento fanno fare un tour guidato gratuito, in attesa ci scattiamo qualche foto sulle moto esposte. La 1200 sporster mi ha preso alla grande, motorone, telaio scarno, “ignoranta” quanto basta, forse qualcosina di più. Tra le altre cose notabili, dato che si andrà tra macchinari pesanti e linee di assemblaggio, son vietate le calzature aperte. A chi ce le ha, vengon date delle scarpe orribili, tipo crock tutte chiuse, uno scempio in gomma.

Rispetto a quelli della Buderwiser, stavolta per il tour sono più organizzati: occhialini protettivi, auricolari per sentire l’accompagnatrice microfonata e spilletta omaggio (la volevo un sacco!). Una ex ballerina di lap dance di Las Vegas ci fa da guida attraversp le meraviglie dello stabilimento H-D.
Ieri alla fabbrica della birra mancavano gli Hoompa Loompa, qui ci invece ci sono: indossano t-shirt Harley, pantaloni stracciati e ascoltano heavy metal mentre lavorano, ma comunque ci sono. Rock a bestia ragazzi.

Da quanto abbiamo visto ogni H-D è fatta praticamente a mano: ci sono i robot, le macchine e tutto il resto, ma per ogni cosa automatizzata c’è anche un operaio che controlla, rifinisce, corregge. Per verniciare un parafango ci mettono 10 ore… son proprio ‘merrigani. Stavolta comunque la guida la capisco alla grande, evidentemente le ex ballerine di Las Vegas parlano un americano più comprensibili.

Finito il tour guidato e le foto di rito, ci dirigiamo in città. Le strade son deserte, manca solo il groviglio d’erba rotolante, non c’è in giro proprio nessuno. Forse perché fa un caldo fottuto? forse. Ci fermiamo al 22esimo piano di un palazzone per prendere guide e cartine varie e poi via, verso il centro, o i centri, o quel che è. Insomma, andiamo al parco in mezzo alla città, ci dovrebbero essere delle fontane.

Troviamo un paesaggio ugualmente desolato, un monumento commemorativo della I guerra mondiale fatto di pietra chiara che butta caldo e riflette i raggi del sole e, soprattutto, qualche albero sotto la cui chioma trovare riparo. Propongo una pausa riflessiva di un’ora, tanto a Kansas Citiy di giorno, con questo caldo, sembra ci sia poco da fare.

Io mi piazzo al sole e mi abbiocco, cullato dal canto delle mega-cicale di Kansas City. Tu pensa, stanco sfatto, senza pranzo, sotto al sole battente immerso nel mega-cicaleggio, che cosa può aver prodotto la mia mente annebbiata?
Boh, completamente rincoglionito, mi sveglio pensando “… ma non avevamo detto solo chiome corvine e niente nomi con la F?” e decido che ok, è ora di mettersi all’ombra, “Fede e la Mari” docet.

Raccogliamo le forze necessarie a vincere abbiocco e caldo continentale e andiamo verso il River Market, che dovrebbe essere una delle poche cose storiche da vedere qui. A parte che di storico non c’è nulla, è anche tutto chiuso. Strano eh? Un cartello dice “chiuso dal 9 al 10”, un altro “chiuso il lunedì” un altro “chiuso dopo le 5.30”. C’è aperto solo un mini ristorante vietnamita, dove compriamo qualche bevanda rinfrescante.

Per passare il tempo facciamo un salto al bancomat drive in: giuro, c’è il bancomat a cui puoi ritirare solo se ci vai in auto. Bella cagata, eh! Amdrea cerca di ritirare 260 mila dollari in banconote da 20, senza riuscirci. Ha messo qualche zero di troppo… oh, uno ci prova, no?
Nella desolazione più totale ci dirigiamo verso un ristorante che viene definito da un tizio della Lonely Planet come “il miglior ristorante a cui io sia mai stato”, io ho come il semtore che ‘sto qui abbia mangiato solo al Taco Bell.

Da noi una roba del genere non avrebbe nemmeno diritto di chiamarsi ristorante. Un cubo di mattoni ricoperto di salsa barbeque e dentro quello che dovrebbe essere il miglior ristorante di carne alla griglia della città. In realtà non è granché, però le porzioni sono abbondanti e ci riempiamo di Buderwiser.
Si tratta di un mezzo fail, ma siam pieni di speranze (e birra) per la serata.

Dopo cena, spostiamo l’auto fuori dal parcheggio del ristorante e facciamo quattro passi digestivi verso il Blue Room che dovrebbe essere un locale dove ogni sera suona un gruppo Jazz diverso.
Miracolo, è davvero così: c’è un gruppo sul palco in basso e noi sugli sgabelli, dotati di Buderwiser e stato d’animo adatto a goderci lo spettacolo.

Servizio rapido, cordiale e di talento (il cameriere va anche a cantare sul palco, esegue Georgia on my Mind che ad un certo punto entra Ray e gli stringe la mano), musica di alto livello, c’è pure una strafiga bionda, ma cosa vuoi di più? Gli artisti si susseguono sul palco, una rotazione continua: basta scrivere il proprio nome su un foglio, lo strumento preferito, e poi ti chiamano. C’è una ragazza di colore a cui ho fatto mentalmente una proposta di matrimonio istantanea appena ha aperto bocca, poi un regazzino (a regazzi, ‘ndo vai??) un po’ montato ma in grado di suonare a livello sia la chitarra che il contrabbasso e i controcazzi.

Bellissima serata, ha gasato un sacco: benché ancora città fantasma, Kansas City ci ha dato quello che ieri St Luis non è stata in grado di offrirci, probabilmente dato il giorno sbagliato in cui l’abbiamo visitata.

Domani ci aspetta una lunghissima trasferta, da Kansas City a Denver, ma probabilmente spezzeremo il viaggio. Per quanto mi riguarda, i miei pensieri viaggiano a bordo di una Harley-Davidson sulla highway verso l’ovest, col vento tra i capelli e la strafiga bionda sul sedile posteriore. Ehi, ma non avevamo detto solo chiome corvine? Sì, ma quanto era figa quella?

No, allora niente, solitario in questa notte che nera corvina è dir poco, ad aspettare una stella cadente per esprimere un desiderio, stando ben attento a quel che desidero, che prima o poi si avvererà, o si è già avverato e me lo son perso.

Beh buon falò sulla spiaggia a chiunque se lo può permettere, io mi godo il cielo super stellato sdraiato sul bagagliaio dell’Ammiraglia Lisa Chinaire Grey, ai bordi di una statale buissima persa nel nero del Kansas.

‘nuff said